Il governo ha aperto il cassetto delle riforme e ritirato fuori il premierato dopo una lunga fase di stallo. È avvenuto alla fine del mese scorso, quando Ciriani ha chiesto la calendarizzazione a luglio della riforma costituzionale che cambia la forma di governo. Il tema è stato subito eclissato da elezioni comunali, guerra in Ucraina e referendum imminenti, ma non deve sfuggire che la decisione del governo di rilanciare “la madre di tutte le riforme” arriva dopo che la Meloni, a inizio maggio, aveva sondato gli umori del Pd sulla legge elettorale.
Ovviamente i due temi, premierato e legge elettorale, si parlano. Secondo Stelio Mangiameli, ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Teramo, quella del premierato – che premierato non è – è una riforma che distorcerebbe la nostra democrazia. Ma un modo per salvarla ci sarebbe.
Premierato e nuova legge elettorale vanno insieme o è solo un tatticismo?
No! Non è un tatticismo. Le disposizioni costituzionali proposte che compendierebbero la modifica della forma di governo e l’introduzione del cosiddetto “premierato” hanno il loro punto di caduta in una nuova legge elettorale di cui l’art. 92, comma 3 (proposto) indicherebbe le caratteristiche.
Quali sono?
In primo luogo l’elezione congiunta delle Camere e del Presidente del Consiglio. In secondo luogo, nelle elezioni delle prime, dovrebbe essere prevista “l’assegnazione di un premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio”.
Dunque il premier governerebbe al riparo del premio di maggioranza.
Sì. La legge elettorale finirebbe con l’essere la vera anima del premierato, perché, formalmente, le disposizioni del Titolo I Parte II della Costituzione non verrebbero modificate, ma sostanzialmente il Parlamento italiano perderebbe la sua natura di vero Parlamento, cioè di sede della rappresentanza politica popolare e decisore delle vicende della Repubblica.
In che modo avverrebbe questo peggioramento?
La riforma del premierato sarebbe un modo di “cucire” il Parlamento intorno alla figura del presidente del Consiglio eletto. Ecco, questo è il nodo vero per la nostra democrazia. Se ci si riflette, nonostante si adoperi il termine “premierato”, il premierato della riforma è esattamente l’opposto del “premierato” britannico, da cui pure prende il nome.
Per quale motivo?
Perché nel Regno Unito il leader del partito che vince le elezioni ha l’investitura a premier, ma il partito, e soprattutto il gruppo parlamentare, restano autonomi dallo stesso leader, che se perde la leadership perde anche la premiership.
Nel caso italiano, invece?
Nel nostro caso i gruppi parlamentari di maggioranza sarebbero nella piena disponibilità del Presidente del Consiglio – che presumibilmente è anche un capo partito – e degli altri capi partito della coalizione.
Premierato è il nome giusto?
No, il termine più corretto sarebbe “governo del Presidente del Consiglio”.
Fermiamoci un attimo. Abbiamo detto che la legge elettorale è il cuore della riforma. Dal 1993 in poi la legge elettorale è stata cambiata molte volte, ma sempre in peggio. Che cosa non funziona?
Finora, sia pure con delle deviazioni introdotte con le varie leggi elettorali e salvo il tentativo di Renzi, il nostro ordinamento è stato autenticamente democratico ed ha contenuto le spinte maggioritarie, che culminano nello svuotamento della dialettica maggioranza-opposizione e nello strapotere della sola maggioranza. Di certo, registriamo un certo indebolimento della democrazia. Le maggioranze parlamentari degli ultimi 35 anni sono in realtà delle minoranze nel Paese, e se non si inverte la tendenza all’astensionismo – come è successo alle recenti elezioni tedesche – avremo sempre più maggioranze parlamentari e opposizioni che sono tendenzialmente irrilevanti rispetto al sentire del corpo elettorale. L’Italia presenta oggi un caso eclatante di mismatch tra politica e società.
Quindi?
Pensare di superare questa situazione con una riforma che porti alla formazione di un Parlamento, in entrambe le Camere, manovrabile direttamente dal capo del governo e subordinato a questo grazie alle ipotesi di scioglimento che vengono costituzionalizzate, limitando la discrezionalità del Presidente della Repubblica, rappresenterebbe un primo avvicinamento verso forme di democrazia autoritaria e verso forme di autocrazia.
Dunque l’obiettivo istituzionale e politico di mantenere un collegamento stretto tra maggioranza parlamentare e corpo elettorale viene meno?
È difficile pensare che ciò che è accaduto in questi anni possa essere visto con apprezzamento da parte dell’elettore medio italiano. È venuto meno il voto di preferenza; subito dopo, anche il diritto di sottoscrivere le candidature; i premi elettorali di maggioranza hanno modificato gli effetti del voto popolare, senza assicurare alcuna governabilità; per finire, il Rosatellum fa sì che con il voto dell’elettore di una lista possa risultare eletto un candidato di una lista diversa.
È inevitabile pensare alla scorsa legislatura (2018-2022), che ha visto succedersi tre governi di segno opposto e chiedersi dove sia finita la “volontà dell’elettore”.
Il caso che lei ricorda, che pure in un sistema parlamentare semplice e con legge elettorale puramente proporzionale sarebbe normale, in un sistema elettorale così alterato diventa una stortura incredibile. Si dice che il miglior sistema elettorale sia quello che consente all’elettore di vedere l’effetto prodotto dal suo voto. In effetti, questo sicuramente lo rassicurerebbe e lo spingerebbe al voto. Se il sistema elettorale è imbrogliato con regole da Azzeccagarbugli, l’elettore non è spinto a partecipare, perché l’offerta politica di fatto si opacizza.
Perché la riforma non rimedia a questa situazione?
Perché il rimedio sarebbe quello di offrire la “scelta del capo”. L’elettore non decide sul suo deputato o sul suo senatore, né sul programma di governo, ma sul capo del governo e tanto gli deve bastare per i prossimi cinque anni.
Se il premierato è la risposta sbagliata ad una istanza giusta, allora che cosa trasforma la volontà dell’elettore in stabilità politica, la “democrazia decidente” di cui parlò la stessa Meloni nel discorso alla Camera per la fiducia al governo?
Una democrazia rappresentativa di tipo parlamentare è fondata necessariamente sulla primazia del Parlamento; con la riforma del premierato, concretamente, questa primazia scompare dal nostro sistema istituzionale. Diverso sarebbe costruire una democrazia rappresentativa di tipo presidenziale.
Per quale ragione?
Perché in tal caso vi sarebbero due distinti processi di legittimazione: quello parlamentare e quello presidenziale, che guiderebbe l’esecutivo. Con la riforma del premierato vi sarebbe sempre una sola legittimazione imputabile al solo capo del governo, invece con il presidenzialismo si costituirebbero due distinte legittimazioni che si bilancerebbero e controllerebbero reciprocamente.
Sotto questo profilo, qual è l’errore del premierato così concepito?
Mina la costruzione parlamentare nella quale il corpo elettorale si riverbera, e riduce gli spazi tra i poteri dello Stato fino a confondere di fatto potere legislativo ed esecutivo, da un lato, e governo e capo dello Stato dall’altro.
E la stabilità politica?
La stabilità politica è data dal peso quantitativo del corpo elettorale. Bisognerebbe costruire leggi elettorali che rispettano e alimentano la partecipazione. Ovviamente c’è anche un aspetto qualitativo del corpo elettorale. Esso consiste nella qualità del dibattito pubblico che avviene ogni giorno, con la sua valutazione sulle decisioni politiche. Chi rappresenta – cioè il Parlamento – e chi governa hanno il dovere di confrontarsi, discutere, anche educare e convincere, e agire nel modo più consono possibile. Se si pensa di raggiungere la stabilità politica dando ad un capo, sia pure eletto, il potere di decidere, ciò ci potrebbe portare fuori dall’alveo della vera democrazia.
Forse con la sua riforma il governo pensa di semplificare, sfrondare, ridurre.
Ma a forza di tagliare rami dall’albero, della democrazia non resterebbe che un tronco spoglio. E gli esempi, in proposito, sono molto vicini a noi.
(Federico Ferraù)
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