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Home » Cultura » Letture e Recensioni » PREMIO STREGA 2025/ Le avventure dei “12 apostoli” tra depressione e crollo psichico (e una previsione)

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PREMIO STREGA 2025/ Le avventure dei “12 apostoli” tra depressione e crollo psichico (e una previsione)

L’esclusione di Nicoletta Verna e del suo editore, Einaudi, dai finalisti del Premio Strega 2025 ha fatto deflagrare una polemica ipocrita

Gianfranco Lauretano
Pubblicato 17 Aprile 2025
(Pixabay)

(Pixabay)

Anche quest’anno l’annuncio dei dodici romanzi finalisti del Premio Strega ha scatenato ripicche e polemiche. A fare notizia sono per ora, e come sempre, più gli esclusi dei selezionati, in particolare Nicoletta Verna, il cavallo su cui puntava per la corsa di quest’anno il suo editore, Einaudi.

Paolo Repetti, direttore della collana ammiraglia della narrativa einaudiana, accusa il colpo e, tra sorpresa e dispiacere, accetta a denti stretti ma non omette di mostrarsi contrariato: “Un criterio che non condivido ma rispetto”.


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Già, quale criterio? È molto semplice: dodici personaggi “titolati” indicano i libri da selezionare, pur lasciandosi “sorprendere dalle discussioni degli Amici della domenica”, ha affermato Stefano Petrocchi, presidente della Fondazione che cura il Premio Strega. Gli Amici della domenica sono la platea più ampia, centinaia di persone, che attuerebbero una presunta discussione sulla selezione dei libri.


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In realtà le reazioni rimbalzate sui giornali dopo l’annuncio svelano i reali criteri di scelta dello Strega. L’esclusione dell’Einaudi, ad esempio, è avvertita come scandalosa a priori: “Che lo Struzzo (cioè l’Einaudi) fosse escluso dalla dozzina è una stranezza che crea mal di pancia”.

Non conta la qualità dei testi, insomma, ma in prima istanza il marchio editoriale. Si possono scrivere opere banali, ma se l’editore si chiama Mondadori, Einaudi, Garzanti, La Nave di Teseo, Feltrinelli, Rizzoli, Guanda “devi” essere almeno finalista.

Infatti, a proposito di Verna, si è scritto: “Ma Nicoletta Verna era tra i nomi che aspiravano alla cinquina. Non al trono, visto che lo scorso anno era stato di un’altra einaudiana, Donatella Di Pietrantonio, ma a giocarsela sì, fino alla finale”.


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Ecco, appunto, rovesciando la questione, perché mai Verna non avrebbe potuto vincere? Perché l’anno scorso ha vinto un altro libro Einaudi e, in una logica di alternanza tra editori, non sta bene. Non conta il valore dell’opera, il grado di letteratura: la discussione di questi giorni svela che il criterio dello Strega sta in una logica di spartizione tra i grandi editori.

La persistenza del Premio Strega e il suo lancio mediatico testimoniano la fine della critica letteraria e del gusto educato dei lettori.

Le scelte si fanno seguendo le vie dello spettacolo, particolarmente vero per questo premio glamour e salottiero, e per nutrire il mercato del libro (cosa che, stando ai dati tenuti prudentemente nascosti, sta fallendo). Il valore letterario non c’entra nulla, anche perché né gli editori né la scuola svolgono più un lavoro educativo del gusto.

Oggi il romanzo che vale è quello che vende. Lo si vede da chi sono i dodici apostoli dello Strega, cioè dai dodici consiglieri dei libri finalisti, ma anche dalle motivazioni e analisi assolutamente artificiali e vuote di Melania Mazzucco, che ne è al vertice: “(Nei romanzi di quest’anno) predomina il racconto dell’Io: la cosiddetta autofiction o l’autobiografia vera e propria che ricorre, coi suoi fasti e le sue miserie. Il leit motiv di quest’anno è la follia. Sbriciolamento dell’Io, depressione, crollo psichico”. Mamma mia, vien proprio voglia di leggerli!

Uno dei dodici consiglieri è Walter Veltroni, a confermare, come se non ne avessimo abbastanza, dell’estinzione dei critici e dei maestri. Perché il lettore dovrebbe leggere un libro consigliato da Veltroni? Quali titoli, quali competenze possiede? Veltroni è un ex politico che è stato evidentemente, per il Premio Strega, dalla parte giusta, progressista e pariolino, autori di libricoli all’acqua di rosa senza spessore letterario. Eppure decide i finalisti.

Si tirino dunque le somme: in Italia i lettori di romanzi sono orfani di ispiratori che sappiano indirizzare la scelta di testi di valore, negli istituti deputati a questa educazione, soprattutto le facoltà letterarie, allignano ebetudine e dispersione, come dicono di sé gli accademici stessi, il cui ritornello da anni è l’incapacità (loro) di definire il canone letterario recente, cioè gli autori che davvero val la pena leggere (non si capisce il motivo, allora, per cui continuiamo a stipendiarli).

Gli altri strumenti, come le terze pagine dei giornali o le riviste, sono estinti o rari e talvolta affidano le loro rubriche a quegli stessi accademici che si autoaccusano incapaci. Pochissimi i nomi di critici che vale la pena seguire: ricordiamo Filippo La Porta o Matteo Marchesini, tra le pochissime, valide voci che escono dal coro stonato dell’incompetenza generale.

Di fronte a questo vuoto critico ed educativo, emergono dunque gli strumenti legati allo spettacolo, al mercato, ai festival del libro (Torino, Mantova, Pordenone, Roma) e al chiacchiericcio salottiero che si portano dietro. Di questa disfatta epocale è segnacolo il farraginoso, inconcludente ed arbitrario meccanismo dello Strega.

Non val la pena ricordare tutti i dodici libri finalisti, alcuni dei quali letterariamente dozzinali. Tra tutti spicca però per qualità Wanda Marasco, presente col romanzo Di spalle a questo mondo (Neri Pozza), artista autentica, scrittrice di rango, protagonista di un’opera di sofferta e profonda ricerca, che meriterebbe di vincere, ma non vincerà, perché di valore troppo alto e difficile per il gusto (e i giurati) odierni. Da lasciar perdere il libro di Paolo Nori, non solo questo, ma tutti quelli che ha scritto dopo che, grazie alla guerra in Ucraina, ha raggiunto lo statuto di vittima, il più utile per vendere libri e scriverli come facendo performance e auto-storytelling.

Vincerà probabilmente lo Strega naarrativa il romanzo L’anniversario di Andrea Bajani, scrittore in passato di ottime opere, tra le quali mi piace ricordare lo stupendo Mi riconosci del 2013, intensissimo e commovente omaggio al suo maestro, Antonio Tabucchi.

Il romanzo di quest’anno è brutto, logorroico, noioso, ma ha tutti gli ingredienti giusti: narra di un figlio che se ne va da una famiglia prigione, da una madre sottomessa e da un padre padrone, insomma abbraccia il tema di moda del patriarcato e si posiziona con quello, di più lungo termine, di demonizzazione della tradizione, attuato da una cultura, quella progressista di oggi, intenta a sbriciolare tutto ciò che viene dal passato, fonte di ogni male sociale, religioso e politico (salvo poi andare in piazza e rivendicare l’unicità del passato culturale dell’Occidente come motivo per rinfocolare la guerra).

Il romanzo è sponsorizzato da Emanuele Trevi, guru della stessa corrente e autore dell’unico romanzo vincitore dello Strega che negli ultimi vent’anni abbia avuto la possibilità di durare nel tempo un po’ di più del frettoloso avvicendarsi dei romanzi nelle vetrine dei librai; infine è pubblicato dall’editore Feltrinelli, che da un po’ non vince, ha una bella catena di negozi e quindi ha più diritto di altri nella logica di spartizione editoriale di un premio, lo Strega, che per quanto riguarda l’indicazione dei libri testimonia il trionfo di tutti i criteri, tranne uno.

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