Oggi, salvo sorprese dell’ultim’ora, la riforma Cartabia di riforma della giustizia penale approda in Consiglio dei ministri. Non si conoscono le carte, che la ministra ha chiesto ai partiti di tenere riservate. Sulla base di quanto è stato anticipato ai giornali, sarebbe stato raggiunto un accordo sulla prescrizione. Secondo quanto riportato da Repubblica, “dall’Appello scatta l’improcedibilità, alias la prescrizione processuale. Due anni di tempo per il processo di appello. Un anno per quello in cassazione. Se i giudici non rispettano questi tempi il processo stesso si chiude. Il reato diventa ‘improcedibile’. Niente sconti di pena per chi viene condannato. Ovviamente pieno via libera per l’assolto”.
Dunque – i “se” sono d’obbligo – si tratterebbe di un compromesso: stop alla prescrizione dopo il processo di primo grado, prescrizione fino a due anni dopo l’appello e un anno dopo la sentenza di cassazione. Per Frank Cimini, giornalista ex Manifesto, Mattino, Agcom, Tmnews e attualmente autore del blog giustiziami.it, “la prescrizione è un istituto di libertà che va limitato il meno possibile perché lo stato non può perseguire ad libitum una persona sospettata”. Detto questo, il problema è di strategia politica. “Non si affronta il vero tema, che è quello della separazione delle carriere. A causa delle solite resistenze interne alla magistratura”.
A tutto questo si è aggiunta nelle ultime ore una sentenza della Corte costituzionale a vantaggio dell’impianto voluto dal ministro Cartabia: “è incostituzionale la sospensione della prescrizione in caso di rinvio del processo per motivi organizzativi legati all’emergenza Covid”.
Il punto più delicato del ddl di riforma della giustizia penale è la prescrizione, che i 5 Stelle, con la riforma Bonafede, vogliono bloccata dopo la sentenza di primo grado.
In realtà non sono solo i 5 Stelle a volerla abolire. Si tratta di una situazione che si trascina da tempo immemore. Il problema è che gli imputati puntano sulla prescrizione perché fa loro comodo, con una giustizia in queste condizioni, in cui il diritto di difesa spesso è solo sulla carta.
Ci spieghi meglio. Raggiungere la prescrizione sarebbe l’unico modo per aver giustizia, è questo che intende?
In parte. Si comincia con le indagini preliminari dove grazie al circuito mediatico giudiziario l’imputato e il suo avvocato non toccano palla. Questo influenza anche il prosieguo del processo, perché spesso l’imputato viene malfamato su circostanze che non sono neppure di rilevanza penale ma che vanno comunque a incidere su di lui.
Ma qual è la sua opinione sull’istituto della prescrizione?
La prescrizione è un istituto di libertà che va limitato il meno possibile perché lo Stato non può perseguire ad libitum una persona sospettata. A un certo punto diventa una forma di difesa. Il modo di porre fine a un processo che non può essere infinito anche se i tempi della prescrizione per la maggior parte dei reati sono già molto lunghi.
Appunto: ridurre i tempi processuali è lo scopo di tutta la riforma Cartabia e di quanto ci chiede l’Europa. A questo proposito il ddl penale prevede anche lo stop agli appelli del pubblico ministero e delle parti civili limitando quelli degli imputati. Di questo cosa dice?
Ci credo poco, non mi pare questa la soluzione.
Perché?
Il problema è che bisogna trovare il modo di incidere sui tempi dei processi garantendo un vero esercizio del diritto di difesa: non ha molto senso limitare gli appelli, non la vedo una strada percorribile.
C’è anche la volontà di mettere dei limiti più stringenti ai tempi delle indagini.
Sì. Ma ci sono indagini preliminari che durano a dismisura, e in questo l’unico problema è il pubblico ministero, il difensore e l’imputato non contano niente per il ruolo che nelle indagini preliminari hanno i media. Se ci si fa caso, i giornali seguono più le indagini preliminari del processo vero e proprio. Quando sei in aula, siccome è uscito tutto, anche quello che non doveva uscire, il processo è compromesso.
Che cosa bisognava fare?
Non si affronta il vero tema, che è quello della separazione delle carriere.
Lo si farà in un’altra parte della riforma.
Va bene, ma poi finisce sempre che questa parte in qualche modo viene rimandata. Stiamo parlando di una riforma che bisogna fare il prima possibile, perché separare le carriere vuol dire instaurare una nuova mentalità, una nuova cultura della giustizia e per vederne gli effetti ci vuole una generazione. E invece si tende sempre a rimandare.
Sarà un nodo difficilissimo da risolvere.
Sì, ci sono forti resistenze all’interno della magistratura, la maggior parte dei magistrati non la vuole anche perché significherebbe avere due Csm, uno per i magistrati inquirenti e uno per i giudici. Andrebbe a intaccare l’attuale potere dei pm, il Csm è in mano a loro. Nel Csm la maggioranza che ci arriva sono i pubblici ministeri proprio grazie alla notorietà acquisita grazie ai media. È in questo modo che hanno più possibilità di farsi eleggere.
(Paolo Vites)
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