Prete condannato per prostituzione minorile assolto grazie alla prescrizione: un cortocircuito che di certo alimenterà le “reazioni” tra “fan” e “detrattori” della riforma Bonafede sulla prescrizione ma che invece rivela, prima di tutto, un potenziale “cavillo” che dovrebbe far pensare e non poco sul nostro sistema giudiziario. Ora i fatti: come ben racconta Ferrarella sul Corriere della Sera, la storia scandalosa arriva da Milano-Baggio dove l’ex parroco Don Paolo Alberto Lesmo tra il 2009 e il 2011 avrebbe pagato in denaro un minorenne tossicodipendente per fare sesso con lui. Dopo il processo è stato condannato in primo grado nel 2016, in secondo grado nel 2018 e anche in via definitiva in Cassazione per aver commesso il fatto nelle stanze della sua canonica nella Parrocchia S.Marcellina: eppure, nonostante i 20 atti sessuali di prostituzione minorile accertati nei processo, il prete è graziato dalla prescrizione proprio presso la Corte di Cassazione. Come possibile? Spiega il CorSera: «causa del paradossale effetto dell’unico leggero ritocco procedurale alla sentenza sulla questione della sospensione condizionale o meno della pena».
PRETE SALVATO DALLA PRESCRIZIONE: COME È POTUTO SUCCEDERE?
L’iter è complesso e purtroppo trasforma una storia drammatica – con il 16enne che giunge alle accuse dopo un lungo colloquio con la sua psicologa intervenuta dopo il tentato suicidio del ragazzo abusato – in uno scandalo giudiziario purtroppo tutt’altro che “illegale” in termini di legge: dopo i verdetti confermati nei primi due gradi di giudizio, nel 2019 la Cassazione concede condanna per due motivi di ricorso su tre della difesa. Ma è proprio sul terzo che scatta il cavillo: i giudici bocciano la motivazione del diniego della sospensione condizionale della pena (per «mancata resipiscenza») a fronte del fatto «che il prete fosse stato sospeso dal ministero e spostato in una comunità di sostegno psicologico». Ancora Ferrarella illustra, su dati della Cassazione, il colpo di scena che ora pone il sacerdote di fatto libero e non più condannabile: «la fondatezza del terzo motivo di ricorso fa sì che si formi “un valido rapporto di impugnazione” al momento della sua presentazione, “e quindi consente di rilevare” adesso “la prescrizione del reato” (6 anni più un quarto: 7 anni e mezzo dall’ultimo atto sessuale l’1 gennaio 2011) “maturata” l’1 luglio 2018 “successivamente alla impugnata sentenza” d’ Appello del 20 giugno 2018». Con l’attuale riforma Bonafede questo cortocircuito non sarebbe più avvenuto, ma in realtà già nel 2017 con la precedente riforma Orlando del Governo Renzi le norme sulla prescrizione sono mutuate anche per evitare casi limite del genere: di fatto in quella legge venivano concessi 18 mesi supplementari per rifare Appello-bis e Cassazione-Bis.