Il Fondo monetario internazionale ha suonato la fine della ricreazione: Tariff Storm, la tempesta provocata dai dazi è arrivata. Può darsi che Donald Trump abbia scherzato e voglia ancora divertirsi come il re nel dramma di Victor Hugo, ma la guerra dei dazi ha già colpito l’economia mondiale.
Le previsioni di primavera pubblicate ieri mostrano una crescita mondiale del 2,8% quest’anno che risale verso il 3% nel 2026. È una frenata di mezzo punto percentuale rispetto al 2024, ma soprattutto è un andamento lento, troppo lento, al di sotto della media dei vent’anni che hanno preceduto la pandemia (il Pil mondiale viaggiava in media a un +3,7% l’anno). Non solo, in passato quando la crescita è scesa sotto il 3%, l’anno successivo è arrivata una recessione, così è accaduto nel 2008 e nel 2019, sottolinea il Fmi e ciò rende bene l’idea di quel che ci aspetta.
Le borse restano deboli, preoccupate dai dazi e dallo scontro tra Donald Trump e Jerome Powell, cioè tra il Presidente e la Banca centrale americana, insistente e duro come poche volte in passato. Wall Street cerca un recupero dopo aver perso mille punti lunedì scorso.
La recessione è già chiara in Messico dove il Pil si riduce dello 0,3% mentre l’anno scorso era aumentato dell’1,5%, dunque perde quasi due punti percentuali. Anche il Canada viene colpito, ma in modo meno pesante: +1,4% un decimale in meno del 2024. Frenata più brusca negli Stati Uniti: il prodotto lordo dovrebbe crescere dell’1,8% un punto in meno dello scorso anno, per colpa dei dazi. Insomma, quella di Trump sembra una politica dannosa per tutti e masochistica per gli americani. La realtà prende il sopravvento sulla propaganda.
Le tariffe, scrivono gli economisti del Fmi, sono uno shock negativo per il Paese che le impone, in quanto le risorse sono riassegnate verso la produzione di beni non competitivi, con un perdita di produttività aggregata, minore attività e costi di produzione e prezzi più elevati.
In ribasso anche la crescita cinese (4% quest’anno e il prossimo), in brusca frenata quella russa: aveva chiuso il 2024 con un +4%, non supererà l’1,5% quest’anno. Ma sia per Pechino, sia per Mosca occorre tener conto che le cifre ufficiali non sono del tutto affidabili, in Cina la manipolazione politica è parte del sistema (l’obiettivo del 5% annuo fissato dal partito viene considerato la condizione stessa della stabilità), la Russia si trova in piena economia di guerra.
Non sono risparmiati naturalmente i Paesi europei. La Germania non riuscirà a riprendersi e si prevede una leggera recessione quest’anno (-0,3%) e crescita zero nel 2026. L’Italia va ben al di sotto delle previsioni anche di quelle aggiustate al ribasso con una crescita striminzita dello 0,4% quest’anno (a gennaio il Fmi aveva stimato +0,7%) e di 0,8% nel 2026. Per la Francia +0,6% e +1% l’anno prossimo. Al di sopra di un punto percentuale c’è il Regno Unito e, soprattutto, la Spagna che dovrebbe chiudere il 2025 con un +2,5%.
Il quadro è a tinte scure, anche se non si può ancora parlare di recessione mondiale, sottolinea il capo economista del Fmi Pierre-Olivier Gourinchas che poi osserva: “I rischi per l’economia globale sono aumentati e sono decisamente orientati al ribasso”, la possibilità di una vera contrazione della crescita è salita dal 25% al 40%. Una percentuale che può salire ancora se, come sembra, l’instabilità e l’incertezza si diffondono dagli scambi di merci alla moneta.
L’oro continua a correre, il dollaro continua a scendere. La ricerca di nuove scappatoie e la sfiducia crescente della politica degli Stati Uniti spinge in alto anche i prezzi di molti beni rifugio, questo potrebbe riaccendere una tensione inflazionistica esterna, legata al mercato delle materie prime.
Quel che il protezionismo sembra non capire è l’intreccio inestricabile dell’economia. Le catene di approvvigionamento hanno raggiunto un grado di complessità che moltiplica gli effetti distorsivi dei dazi. La maggior parte dei beni scambiati sono input intermedi che debbono essere assemblati in varie parti del mondo. Gourinchas evoca una reazione tipo pandemia, cioè il “propagarsi dei contraccolpi su e giù per la catena globale di input-output, con elevati effetti di moltiplicazione, proprio come durante il Covid”.
Il Fmi mette in guardia anche dagli attacchi all’indipendenza della Banca centrale americana un’altra fonte di incertezza e sfiducia. Sbraitare contro la Fed è del resto inutile visto che la curva dei tassi d’interesse è prevista in discesa anche negli Stati Uniti. sia pure con ritmi diversi rispetto alla zona euro: dal 4% quest’anno al 2,9% nel 2028 per gli Usa, dal 2,1% all’1,9% per l’Eurolandia, dove l’inflazione è scesa più rapidamente rispetto a quella americana.
In conclusione, allacciamo le cinture, non c’è molto che i singoli Paesi possano fare per proteggersi dalla bufera americana. Per l’area dell’euro bisognerà guardare soprattutto alla Germania, sperando che la svolta nella politica economica annunciata dal nuovo Cancelliere Friederich Merz non venga bloccata dalle pastoia di una situazione politica ancora incerta. Il Governo vedrà la luce solo il mese prossimo, auguriamoci che non sia già tardi.
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