PRIMO GIORNO DI SCUOLA/ In presenza: la voglia di educare conta più della tecnica

- Antonello Vanni

Basta affrontare il ritorno a scuola dal punto di vista tecnico, di supporto psicologico, come suggerisce il Miur? No, ci vuole di più

diamanti (LaPresse)

Tra le problematiche che la scuola dovrà affrontare da settembre c’è anche il risultato del forte impatto che l’isolamento sociale dovuto al lockdown ha avuto sullo sviluppo psicologico, cognitivo e relazionale di bambini e adolescenti.

Ne abbiamo parlato in un recente articolo su ilsussidiario.net suscitando l’interesse di docenti e genitori. Interesse che può essere sintetizzato in questo interrogativo: in che modo la scuola potrà incontrare gli alunni e accoglierli, valutando il modo migliore per ri-cominciare insieme un percorso scolastico sereno e proficuo, e magari compensando le importanti carenze causate negli alunni dal ritiro sociale dovuto all’emergenza sanitaria da Covid-19?

Vediamo, a partire da questo articolo, alcune possibili risposte a questa domanda. Cominciamo con quelle fornite dalla fondazione YoungMinds, istituzione leader nel Regno Unito impegnata con ricerche, pubblicazioni e sostegno alle istituzioni scolastiche, nel migliorare il benessere emotivo e psicologico di bambini e adolescenti. Dopo aver raccolto vari dati sulle criticità della situazione scolastica degli ultimi mesi, e in particolare dopo aver ascoltato con specifici questionari la voce degli alunni, delle famiglie e dei docenti, Young Minds ha proposto un “piano per il ritorno a settembre”.

Secondo questa fondazione, per affrontare le sfide che attendono la scuola nei prossimi mesi, è opportuno gestire con attenzione almeno quattro aspetti:

1) la transizione nel “ritorno in presenza”;

2) la cura della salute psicoemotiva degli alunni, dei genitori e del personale scolastico;

3) l’organizzazione di misure pratiche che facciano sentire sicuri gli alunni, il personale scolastico e le famiglie;

4) la ri-costruzione di un clima interpersonale positivo, di resilienza e di speranza che abbracci l’intera comunità.

In particolare, la transizione al “ritorno in presenza” va affrontata tenendo presente che molti bambini e ragazzi vivranno il ritorno a scuola e l’incontro con i compagni con gioia ed eccitazione, ma molti altri avranno difficoltà nel tornare alla vita scolastica dopo tanto isolamento. Bisognerà quindi aiutarli ad esprimere i loro sentimenti, le ansie, le eventuali paure, trovando tutti i modi possibili per garantire loro questo supporto.

A tal fine, in Italia è già stato previsto per la riapertura della scuola il contributo dell’ausilio psicologico: il Protocollo d’Intesa per garantire l’avvio dell’anno scolastico pubblicato dal Miur promuove, infatti, sia per gli studenti che per il personale della scuola “un sostegno psicologico per fronteggiare situazioni di insicurezza, stress, ansia dovuti ad eccessiva responsabilità, timore di contagio, rientro al lavoro in ‘presenza’, difficoltà di concentrazione, situazione di isolamento vissuta”.

Ma è sufficiente questo tipo di supporto “tecnico”? No, ad esempio, secondo Maria Angela Grassi, presidente dell’Associazione nazionale dei pedagogisti italiani (Anpe) che, in merito al Protocollo d’Intesa del Miur sull’avvio dell’anno scolastico, ha sottolineato come la scuola sia prima di tutto un luogo con una funzione pedagogica e formativa in cui i protagonisti devono essere appunto gli specialisti della formazione e dell’educazione. Specialisti da coinvolgere in particolar modo in questa fase caotica di emergenza sanitaria, in quanto in grado di orientare e accompagnare la scuola con tutto il suo personale in un cambiamento concreto, pratico, capace di affrontare la sfida epocale che l’emergenza impone.

Che poi è un modo per valorizzare chi veramente lavora nella scuola, giorno per giorno: maestre, professori, docenti… che non vedono l’ora di poter dire la loro sui problemi della scuola e non vedono l’ora di essere valorizzati nelle loro risorse ed esperienze ben acquisite, da convogliare in un dialogo costruttivo che ha a che fare prima di tutto con la pedagogia, con il far crescere concretamente bambini e adolescenti disorientati che attendono adulti capaci di indicare loro una direzione sicura. Un disorientamento che rischia di protrarsi a lungo, se la scuola non si riapproprierà, con la giusta autostima, del significato del proprio ruolo: educare, far crescere le persone.

Solo dopo aver ragionato su quello che è importante per le persone e il senso della loro esistenza si potrà ragionare su banchi a rotelle, dispenser di gel disinfettanti e distanze. 





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