PROCESSO GIULIO REGENI, UN VERBALE DI INTERROGATORIO DICHIARATO NULLO
Mentre è in corso il processo per l’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore torturato e ucciso nel 2016 in Egitto, con quattro ufficiali dei servizi segreti egiziani imputati in contumacia, emerge un’importante novità relativa all’udienza del 27 maggio, quella in cui furono ascoltati due testimoni di rilievo: l’ex ministro degli Esteri Luigi Di Maio e l’amministratore delegato di ENI Claudio Descalzi.
La Corte d’Assise di Roma ha emesso un’ordinanza che ha reso nullo un verbale di interrogatorio reso in Egitto da un agente dei servizi di sicurezza egiziani, il quale era stato escusso in virtù di una rogatoria della procura alle autorità egiziane.
È stato stabilito che non si può usare un verbale fatto in Egitto perché è stato raccolto senza rispettare le regole fondamentali del giusto processo. Non conta che l’atto sia avvenuto all’estero: se manca la difesa, se non si spiegano le accuse, se non si garantisce il diritto al silenzio, allora quelle dichiarazioni non valgono nulla e non possono entrare in un processo italiano.
PRINCIPI GIURIDICI E CONCLUSIONI DELLA CORTE
Il PM aveva chiesto di usare quel verbale durante il processo Giulio Regeni, citando un articolo del Codice di procedura penale (art. 512-bis) che consente l’uso delle dichiarazioni rese all’estero da persone che vivono fuori dall’Italia.
Il tribunale, però, ha respinto la richiesta, dichiarando il verbale nullo, in quanto ha riscontrato una violazione dei principi fondamentali dell’ordinamento italiano ed egiziano. Nello specifico, come ricostruito da Giurisprudenza Penale, è stato violato il principio del nemo tenetur se detegere: nessuno è obbligato ad accusare sé stesso.
Questo principio è alla base del diritto di difesa e del giusto processo in Italia. Inoltre, non sono state rispettate le garanzie difensive: l’agente non era stato informato delle accuse a suo carico e non gli era stato detto che poteva farsi assistere da un avvocato. Ciò vale anche per le norme procedurali egiziane, trattandosi di un soggetto formalmente incolpato.
L’ordinanza del processo Giulio Regeni richiama alcuni principi giuridici, come il locus regit actum: nella rogatoria si applicano le regole del Paese dove si svolge l’atto (in questo caso l’Egitto), ma non si possono violare i principi fondamentali del nostro ordinamento. Anche se il nostro codice prevede delle eccezioni, e non tutte le violazioni formali portano a nullità, qui si trattava di una violazione grave e sostanziale.
In conclusione, per la Corte il verbale è nullo e non può essere acquisito al processo, perché è stato reso senza le necessarie garanzie difensive; è in contrasto con principi essenziali di giustizia, sia italiani che egiziani; la nullità è generale, insanabile e rilevabile in ogni fase del procedimento.