In un’epoca in cui la pubertà può presentarsi già a sette anni e mezzo, molti genitori restano impreparati e confusi: solo il 54% parla con i figli dei primi cambiamenti del corpo, mentre il 41% aspetta che siano loro a chiedere, un atteggiamento attendista che espone bambini e bambine a un senso di smarrimento, proprio nel momento in cui avrebbero più bisogno di comprensione.
Secondo il sondaggio nazionale condotto dal C.S. Mott Children’s Hospital che ha coinvolto oltre 900 famiglie americane con figli tra i 7 e i 12 anni, il passaggio dall’infanzia all’adolescenza resta ancora un territorio poco esplorato e i segnali – sviluppo delle ghiandole mammarie, odori corporei intensificati, crescita dei testicoli, comparsa di peli – sono noti, ma spesso sottovalutati tanto che il 36% dei genitori pensa sia giusto affrontare il tema prima dei 10 anni, il 32% proprio intorno a quell’età, e un terzo preferirebbe posticipare.
Ma il tempo, si sa, il tempo non aspetta e la realtà mostra che nella fascia 7-9 anni il 65% dei genitori ha parlato poco o per nulla della trasformazione corporea: un silenzio che pesa e che – troppo spesso – arriva accompagnato da imbarazzo e insicurezza.
Pubertà come tabù culturale: tra insicurezze, silenzi e l’aiuto di pediatri e scuole
L’incertezza non è solo informativa, ma affonda le radici in una fragilità culturale ed educativa con il 39% dei genitori intervistati che non ha mai ricevuto – a sua volta – un’educazione alla pubertà, un vuoto generazionale che si ripropone come un eco, trasmettendo ai figli lo stesso disagio che gli adulti hanno provato in passato: solo la metà si sente davvero sicura nel riconoscere i segni della pubertà.
Le principali difficoltà? Stabilire l’età giusta per parlarne (41%), decidere se e quando includere temi legati alla sessualità (40%), capire quali segnali osservare (29%), vincere l’imbarazzo (20%) o la paura di sbagliare parole (17%) e se il 34% cerca risposte in guide per genitori, il 30% si affida ai pediatri, mentre solo il 14% riceve supporto dalla scuola.
Le visite pediatriche annuali, in tal senso, diventano un’occasione preziosa: i medici possono orientare la comunicazione, proporre strumenti adeguati e alleggerire il carico emotivo della conversazione ma è necessario andare oltre il corpo in quanto la pubertà rappresenta anche un vero e proprio terremoto emotivo e proprio per questo i dialoghi devono essere continui, progressivi, adatti all’età e aperti all’ascolto. Se le parole mancano, si possono offrire libri o video purché il silenzio non sia la risposta.
