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Home » Esteri » Ucraina » PUTIN-ZELENSKY/ Un faccia a faccia (improbabile) che rischia di far fallire tutto

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PUTIN-ZELENSKY/ Un faccia a faccia (improbabile) che rischia di far fallire tutto

Int. Marco Bertolini
Pubblicato 14 Maggio 2025
Vladimir Putin e Recap Erdogan (Twitter)

Vladimir Putin e Recap Erdogan (Twitter)

Per ammissione USA sulla guerra in Ucraina ci sono ancora questioni da chiarire. La possibilità di un incontro Putin-Zelensky è remota

Zelensky e Putin faccia a faccia, un incontro diretto che potrebbe segnare una svolta nella guerra in Ucraina, ponendo fine alle distruzioni e alle sofferenze di tanta gente che ha visto morire i suoi cari sul campo di battaglia o sotto i bombardamenti. La possibilità c’è ed è prevista ad Ankara domani, anche se i russi non hanno ancora sciolto la riserva sulla partecipazione o meno di Putin in persona (forse ci andrà Lavrov) alle trattative con gli ucraini. Zelensky, dal canto suo, ha annunciato che parteciperà ai colloqui solo se lo farà anche Putin.


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La realtà, spiega Marco Bertolini, generale della Brigata Folgore e comandante di numerose operazioni speciali in Libano, Somalia, Kosovo e Afghanistan, è che gli incontri a così alto livello vanno preparati da quelli dei rispettivi staff per trovare un punto di equilibrio per un eventuale accordo. E qui l’intesa tra le parti sembra ancora in alto mare, tanto più che proprio Witkoff, uno dei due inviati USA delegati a occuparsi delle questioni ucraine, ha indicato quali sono i nodi da sciogliere nella trattativa: la cessione dei territori, la gestione della centrale di Zaporizhzhia e l’accesso alle vie fluviali per gli ucraini.


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Se ancora bisogna discutere di questo, forse non è il momento giusto per mettere a confronto i due presidenti. Chi rimane fuori dai giochi è ancora l’Europa, presa di mira dallo stesso Putin, che minaccia altre sanzioni se i russi non dovessero sfruttare l’occasione dei colloqui in Turchia.

Generale, l’incontro Zelensky-Putin si farà?

Sicuramente non ci siamo mai stati così vicini, perché non se ne è mai parlato. Zelensky aveva addirittura proibito per legge di trattare con i russi, in particolare con Putin. Sono proposte, però, che vengono fatte sempre tirando il freno a mano; non per niente è stato chiesto che si proceda prima a una tregua di 30 giorni, mentre il Cremlino ha sempre detto chiaro e tondo che non sta cercando un cessate il fuoco. Trump, tuttavia, spinge sempre per una soluzione, e ha esortato Zelensky ad accettare la proposta russa di un confronto, anche se non prevede i 30 giorni di sospensione dell’attività militare.


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Questo incontro diretto è stato fissato troppo in fretta?

Un incontro a livello di capi di Stato, Zelensky e Putin, dovrebbe essere l’ultimo atto di un percorso in cui gli staff hanno chiarito tutti gli aspetti della vicenda: se parlando direttamente i due presidenti arrivassero a un nulla di fatto, brucerebbero completamente le possibilità di arrivare a un accordo. Pensare che così, di punto in bianco, si decida un incontro per mettersi d’accordo mi sembra impossibile.

Witkoff ha indicato quali sono, secondo lui, le priorità per trovare un’intesa: la cessione dei territori, il futuro della centrale di Zaporizhzhia, l’accesso degli ucraini alle acque, quindi al Dnepr e al Mar Nero. Ma se è così, vuol dire che le parti un accordo non ce l’hanno: a cosa potrebbe servire allora un incontro diretto?

È questo il punto. Credo che, se mai si incontreranno, ci sarà una serie di riunioni in precedenza per trovare un punto di equilibrio. E se ci sono problemi da risolvere, come quelli che ha evidenziato Witkoff, è chiaro che siamo lontani da un’intesa.

Perché allora si è arrivati a parlare della possibilità di un incontro diretto?

Nonostante tutto quello che si dice di male di Trump, bisogna riconoscere che ha portato a un’accelerazione delle trattative per arrivare a una soluzione del problema. Non ha chiuso la guerra, ma si è iniziato a intravedere qualche prospettiva di pace solo da quando c’è lui. Seppur fra malumori e con tanti se, le cose si stanno muovendo. Prima non era così: non si sarebbe mai parlato di un rapporto diretto fra Zelensky e Putin e la tregua non sarebbe stata neanche nominata.

Prima di indicare in Witkoff, Kellogg e Rubio i rappresentanti USA all’incontro in Turchia di giovedì 15, Trump aveva ipotizzato anche una sua presenza ai colloqui. Però ha fatto sapere nuovamente che, se anche stavolta ci sarà un nulla di fatto, gli Stati Uniti lasceranno la scena. Stavolta lo farà veramente?

Il fatto che Trump minacci di lasciare le trattative in parte può essere dovuto alla sua frustrazione. Aveva detto che avrebbe risolto tutto in 24 ore e poi in 100 giorni: adesso si rende conto che la faccenda è molto più complessa.

Se partecipasse agli incontri, a maggior ragione non si può pensare che lui, Putin e Zelensky si vedano come tre amici per risolvere una guerra che va avanti da tre anni e che ha provocato distruzioni e centinaia di migliaia di morti. Se fosse presente, vorrebbe dire che ci sono già stati incontri di un altro livello in cui ci si è confrontati sulle soluzioni. Non credo che neanche Trump voglia ripetere la sceneggiata dello Studio Ovale, nel quale si sono presi a male parole lui e Zelensky.

Insomma, non crede a un eventuale ritiro degli Stati Uniti dal negoziato?

No. Gli USA hanno ottenuto un risultato firmando con Zelensky l’accordo sul fondo per la ricostruzione e per lo sfruttamento delle risorse del territorio. Ma se l’Ucraina continua a essere un Paese in guerra, sarà difficile realizzare quanto previsto dall’intesa.

Si rischia, anzi, che i russi avanzino, sottraendo altro territorio agli ucraini. Anche Zelensky ha ottenuto qualcosa: ha avuto qualche garanzia per la sicurezza. Certo, per Trump questo rappresenta un risultato fino a che c’è Zelensky, perché, nel momento in cui si insediasse al suo posto qualcuno che non la pensa come lui, le cose potrebbero essere parzialmente riviste.

A questo punto, per gli USA sarebbe quasi un vantaggio se restasse Zelensky presidente?

Il loro accordo l’hanno ottenuto con Zelensky. Fino a qualche tempo fa pensavo che fosse indispensabile che si facesse da parte. Lo penso ancora, ma ora c’è qualche ragione in più perché rimanga, almeno nel breve periodo.

Da questa fase delle trattative l’Europa esce ancora più marginalizzata. Può avere ancora un ruolo oppure la scelta di Erdoğan come mediatore significa che è stata soppiantata in tutto e per tutto?

L’Europa si è suicidata politicamente all’inizio della guerra in Ucraina, riducendosi a semplice rappresentante locale della NATO. Ha una classe politica inadeguata: penso, per esempio, all’Alto rappresentante per gli Affari esteri Kaja Kallas. E la stessa von der Leyen non ne esce meglio: la UE continua a parlare di sanzioni ai russi, e mentre Trump manifesta l’interesse a una gestione congiunta del Nord Stream 2 con Putin, Bruxelles bandisce la possibilità di acquistare gas russo.

È veramente un approccio suicida, che non tiene conto degli interessi europei. La Turchia, invece, dall’inizio della guerra è sempre stata molto prudente: forniva i droni all’Ucraina, ma ha sempre continuato a tenere i rapporti con Mosca, ricavandosi il ruolo di hub per il petrolio russo. Adesso si trova in una posizione di forza, perché è uno dei pochi posti nei quali si possono incontrare le parti in causa della guerra.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Vladimir PutinVolodymyr ZelenskyUrsula Von Der LeyenDonald TrumpErdogan

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