Nell’attesa per le mosse del Consiglio direttivo della Bce, mercoledì è passata quasi inosservata la presentazione del Pacchetto di primavera del semestre europeo 2025 da parte della Commissione europea, contenente le Raccomandazioni dirette ai singoli Paesi membri. L’Italia è stata sì “promossa” da Bruxelles, dal momento che non viene ritenuto necessario adottare misure nell’ambito della procedura per deficit eccessivo aperta lo scorso anno, che non è stata comunque chiusa, ma oltre ai soliti richiami sul contrasto all’evasione fiscale e alla riforma del catasto c’è una “novità” dovuta al Piano di riarmo europeo. Ne abbiamo parlato con Massimo D’Antoni, professore di Scienza delle finanze all’Università di Siena.
La primissima raccomandazione che viene fatta dalla Commissione europea al nostro Paese riguarda il rafforzamento della spesa nella difesa. Visti i limiti del bilancio pubblico italiano e anche la raccomandazione di Bruxelles al Consiglio europeo di attivare le clausole di salvaguardia nazionali in deroga al Patto di stabilità per 15 Paesi che l’hanno chiesto, si tratta un “invito” implicito a fare altrettanto?
Nelle enunciazioni degli obiettivi fissati a livello europeo, le spese per la difesa sono comparse da un paio d’anni accanto ad altre priorità, come le spese per l’ambiente, per la transizione digitale, per la spesa sociale. Poi però arrivando al dunque, alle raccomandazioni specifiche, vediamo che questa singola voce acquisisce un ruolo centrale. Come abbiamo già commentato in precedenti interviste, stiamo assistendo a un riorientamento delle priorità che definiscono questa Unione, che lasciano i temi sociali, la difesa del modello sociale europeo, in posizione sempre più defilata.
Come giustamente rileva, colpisce anche che la raccomandazione sull’aumento della spesa militare sia enunciata contestualmente alla richiesta di rispetto dei limiti di crescita della spesa pubblica, che prevedono una riduzione nel tempo di tale spesa in rapporto al Pil. L’interpretazione che suggerisce è dunque plausibile: è un invito a ricorrere alla clausola di salvaguardia per sottrarre le spese militari, e solo quelle, al vincolo. A meno che qualcuno non pensi veramente che in Italia ci sia spazio per ridurre altre funzioni di spesa pubblica…
Nel Rapporto stilato al termine della missione ex articolo IV del suo Statuto in Italia, il Fmi ha evidenziato che qualsiasi aumento della spesa per la difesa dovrebbe essere interamente compensato da risparmi su altre voci di bilancio. Attivando la clausola di salvaguardia si potrebbe evitare questa compensazione?
Il Fmi considera che, clausola di salvaguardia o no, il nostro Paese abbia comunque spazi di manovra limitati e quindi evidenzia il fatto che il “vincolo di bilancio” non possa essere facilmente aggirato, nemmeno con l’autorizzazione di Bruxelles. Vorrei essere ancora una volta molto chiaro: l’attivazione della clausola di salvaguardia non comporta in alcun modo la possibilità di spesa “a costo zero”. La clausola ci consentirebbe di rinviare l’aggiustamento, ma le spese militari le pagherebbero comunque i contribuenti italiani, l’effetto sarebbe un aumento del debito pubblico nazionale e quindi obiettivi di bilancio più stringenti al prossimo “giro”, in occasione della ridefinizione del sentiero di crescita della spesa pubblica.
Questo riferimento alla spesa per la difesa è senz’altro una novità rispetto alle Raccomandazioni rivolte all’Italia negli anni passati. Ne nota delle altre?
Francamente no, non vedo altre novità. Salvo forse qualche accento, le raccomandazioni appaiono in tutto e per tutto la ripetizione di quello che la Commissione chiede da anni, in termini di fisco, di pensioni, di mercato del lavoro, di sistema formativo, di liberalizzazione dei servizi pubblici.
La Commissione ritiene anche che non sia necessario adottare ulteriori misure nell’ambito della procedura per deficit eccessivo avviata nei confronti del nostro Paese, che resta comunque aperta. L’Italia non è stata abbastanza “virtuoso” pur essendo già tornata all’avanzo primario? Anche per la Francia, ugualmente oggetto di una procedura d’infrazione, Bruxelles ritiene non sia necessario adottare altre misure: non è “curioso” visto che Parigi prevedere di riportare il deficit/Pil sotto il 3% solo nel 2029?
La procedura per deficit eccessivo è stata avviata perché a fine 2023 il nostro indebitamento netto era superiore al 3% del Pil. Nei piani del Governo presentati lo scorso autunno è previsto che il rientro al di sotto di questo parametro, e quindi l’uscita dalla procedura, si raggiunga nel 2029. Tra l’altro, il Governo ha presentato un piano perfino più ambizioso di quanto richiesto in prima battuta dalla stessa Commissione.
Bisogna in ogni caso chiarire che per il prossimo quinquennio gli obiettivi di bilancio saranno valutati con riferimento esclusivo al rispetto del limite di crescita della spesa definito nel piano di bilancio di medio termine, varato in autunno e approvato da Commissione e Consiglio. Ciò che i singoli Paesi devono dimostrare di anno in anno è di essere in linea con gli obiettivi fissati in quell’occasione e questo è il caso, sia per l’Italia che per la Francia.
La Commissione europea ha stabilito che la Bulgaria ha le carte in regola per aderire all’euro dal 1° gennaio 2026. L’allargamento della moneta unica è un segnale della sua “forza”?
Come ben sappiamo, l’adesione alla moneta unica condiziona le politiche nazionali e priva di un meccanismo di aggiustamento, la variazione del tasso di cambio, che può aiutare in presenza di squilibri. Ciò non significa che non dia anche dei vantaggi. In particolare, può essere una valida àncora per influenzare le aspettative di inflazione e fornisce ai politici un “vincolo esterno” che può aiutarli a realizzare certe politiche. Dunque il fatto che l’euro continui a rappresentare una forza di attrazione per molti Paesi, specialmente quelli che potremmo definire periferici, non deve sorprendere.
Quanto al suo stato di salute, diciamo che ha conosciuto momenti peggiori, alcuni degli squilibri presenti dieci o quindici anni fa si sono attenuati. D’altra parte, i problemi di fondo propri di un’unione monetaria che non è un’area valutaria ottimale e non è mai evoluta verso un’unione fiscale non sono certo scomparsi.
(Lorenzo Torrisi)
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