Nel nuovo clamore mediatico che si è sviluppato attorno al delitto di Garlasco e (in particolare) sulla colpevolezza di Alberto Stasi è arrivato anche l’inaspettato parere di Raffaele Sollecito – raccolto dall’Ansa – e che si è detto un fermo sostenitore dell’innocenza dell’oggi 41enne condannato in via definitiva per la morte di Chiara Poggi e che sta scontando una pena a 16 anni di reclusione: dal conto suo, nel breve intervento all’agenzia, Raffaele Sollecito ha sottolineato di aver sempre creduto alla tesi di Stasi e pur sottolineando che i loro due casi sono “molto diversi” tra loro, non può che notarne anche le similitudini specialmente dal punto di vista della conduzione delle indagini.
Facendo prima di tutto un passetto indietro, è utile ricordare che Raffaele Sollecito fu il principale sospettato – assieme ad Amanda Knox – per l’omicidio di Meredith Kercher: condannati entrambi, furono poi pienamente assolti per il delitto evidenziano numerose incongruenze tra la conduzione delle indagini che non erano riuscite a trovare delle concrete prove a loro carico; mentre la responsabilità fu imputata in una secondo momento a Rudy Hermann Guede.
Raffaele Sollecito: “Con me e Stasi non è stata rispettata la verità dei fatti per dare giustizia alle vittime”
Tornando al parere di Raffaele Sollecito sul delitto di Garlasco, ad Ansa l’ingegnere informatico oggi assolto ci ha tenuto a mettere in chiaro di aver “sempre creduto all’innocenza” di Alberto Stasi denotando che la “verità” trovata dagli inquirenti per la morte di Chiara Poggi sarebbe stata “per niente chiara” e ricordando anche di avergli scritto una lettera alla quale non ha mai ricevuto nessuna risposta.
Non solo, perché ritenendo “diversi” i loro due casi, Raffaele Sollecito ha anche detto di “rivedersi” nella vicenda di Garlasco in particolare perché anche lui fu scagionato grazie alla presenta “sotto alle unghie di Meredith” di tracce genetiche e capelli mai analizzati assieme alla “sostanza organica” mai repertata sugli indumenti della vittima: “C’è una volontà – spiega Raffaele Sollecito – da parte di chi indaga a dare una risposta alle vittime” anche a costo di non accertare “la verità dei fatti”; il tutto ignorando completamente “il prezzo da pagare” per i condannati che si trovano in carcere “da innocenti”.