Le polemiche non servono a niente, sono i fatti a parlare e quindi i dubbi che si pone ogni normale cittadino: da che parte sta la Procura di Milano?
Ricordate l’inseguimento notturno di 8 chilometri di due delinquenti su uno scooter in piena notte per le vie di Milano il 24 novembre scorso, finito con la tragica morte di uno dei due, Ramy Elgaml, che (senza casco) si è schiantato contro un semaforo?
Come non rimanere incerti, allibiti, indignati davanti alla notizia che – smentendo perfino le conclusioni del proprio consulente tecnico – i titolari del fascicolo, i pm Giancarla Serafini e Marco Cirigliano, hanno concluso le indagini annunciando la richiesta di rinvio a giudizio per omicidio stradale a carico del carabiniere alla guida della volante per non aver rispettato integralmente l’articolo 177 del codice della strada, secondo il quale durante le attività di servizio, come gli inseguimenti, le forze dell’ordine possono ovviamente non rispettare le norme stradali ma comunque “nel rispetto delle regole di comune prudenza e diligenza”?
Il tutto mentre la stessa relazione del consulente tecnico della Procura sosteneva che “l’operato del conducente dell’autovettura dei carabinieri nell’ambito dell’inseguimento” risultava “essere stato conforme a quanto prescritto dalle procedure in uso alle forze dell’ordine”.
Per la Procura, invece, il carabiniere alla guida della volante stava troppo vicino allo scooter, ovvero “a meno di un metro e mezzo nel tratto finale a 55 chilometri all’ora, e dunque a una distanza inidonea a prevenire collisioni con il mezzo in fuga” quando l’amico di Ramy fece “un’improvvisa manovra a destra in direzione della rampa pedonale”.
In quel momento vi fu l’urto tra la parte posteriore destra dello scooter con la fascia anteriore del paraurti dell’auto dei carabinieri che arrivava da dietro, impatto che provocò lo “slittamento del motociclo” e dello sbalzo mortale di Ramy contro il semaforo. Secondo il perito sarebbero serviti 13 metri per schivare la sterzata della moto e 17 metri per frenare.
La prima domanda che si pone una persona normale e come poteva sapere il carabiniere che lo scooter avrebbe sterzato, la seconda come avrebbe potuto inseguirlo a distanza visto che i due si infilavano nelle vie contromano, sui marciapiedi e passando con i semafori rossi.
Non solo. Secondo quanto pubblicato anche dal Corriere della Sera i pm milanesi avrebbero elencato nelle loro conclusioni anche una serie di aspetti che il carabiniere avrebbe dovuto calcolare, tra cui “la condotta avventata del conducente dello scooter e la natura stessa del motociclo inseguito, l’alta velocità e la durata dell’inseguimento, proseguito per ben otto minuti dal centro di Milano al Corvetto”. Tutte variabili destinate “a inficiare le capacità” del carabiniere “di concentrazione nella guida e di reazione, e le capacità frenanti del veicolo”.
E quindi se uno scappa per 8 minuti viaggiando contromano inseguito da tre pattuglie dei carabinieri, non si ferma all’alt, diventa un pericolo pubblico per chi è in giro a quell’ora, ha in tasca refurtiva eccetera, se si schianta è colpa degli inseguitori, anche se magari lo urtano?
E questa per la Procura di Milano sarebbe giustizia? Questo non è tanto iper-garantismo, ma – almeno secondo la mia personale opinione – è autentico disprezzo verso il sacrificio quotidiano delle Forze dell’ordine, un incentivo a “lasciar perdere”, a non rischiare vita e carriera: meglio non vedere, non sentire, stare quieti.
Ma chi pensa – una volta di più – ai diritti dei cittadini che avrebbero il sacrosanto diritto di essere difesi? E ai rischi che quotidianamente si assumono le Forze dell’ordine?
Negli USA – tanto disprezzati dai media – se per qualche motivo sei inseguito da un’auto della polizia con la sirena e le luci accese, accosti e ti fermi; se non ti fermi da quel momento sei considerato in fuga e gli agenti possono legittimamente spararti. Tranquilli: si fermano tutti, subito, altro che otto chilometri di inseguimento!
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