Si torna a parlare, nella diretta di oggi del programma Cose Nostre – sempre in onda su Rai 1, nella seconda serata del lunedì con il volto noto di Emilia Brandi alla conduzione – del rapimento di Cristina Mazzotti, prima donna (peraltro appena 18enne) finita nelle mani della ’Ndrangheta nell’ormai lontano 1975 e che, da quasi 50 anni, chiede ancora giustizia.
Seppur da un lato, infatti, si conoscano i nomi di chi la tenne prigioniera cagionandone la morte “con dolo” (come venne scritto nelle sentenze), dall’altro lato, ancora oggi, è parzialmente incerto chi siano stati i mandanti del rapimento di Cristina Mazzotti, con i primi risultati delle indagini in tal senso che sono arrivati solamente nel 2022 e i processi che si sono aperti pochissimi mesi fa.
Facendo, prima di tutto, un passo indietro, è certamente utile ricordare che il rapimento di Cristina Mazzotti fu organizzato nel 1975 con il solo obiettivo di chiedere un riscatto alla facoltosa famiglia della 18enne: il padre decise effettivamente di pagare il riscatto, ma nel frattempo ignorava che la studentessa era già deceduta da pochissime ore; mentre solamente l’anno successivo si aprì il processo contro 13 persone coinvolte a vario titolo nei fatti, tra carcerieri, effettivi rapitori, fiancheggiatori e facilitatori.
Chi sono i mandanti e gli ideatori del rapimento di Cristina Mazzotti: il ruolo della ’Ndrangheta nel cold case del 1975
Seppur il caso di Cristina Mazzotti fu ritenuto parzialmente chiuso, restò aperto il tema dei mandanti del rapimento, con la prima svolta in tal senso che arrivò solamente nel 1994 grazie all’operazione Isola Felice: in quell’occasione il pentito Antonio Zagari disse per la prima volta che dietro al rapimento della 18enne c’era la ’Ndrangheta e il boss Giuseppe Morabito, ma non si riuscì ad arrivare a una vera svolta processuale in tal senso; almeno fino al 2007, quando gli sviluppi tecnologici permisero di ricollegare le impronte raccolte sulla scena al boss della ’Ndrangheta Demetrio Latella.
Quest’ultimo – pur a fronte di un rifiuto all’arresto da parte del Gip – ammise di aver partecipato al sequestro di Cristina Mazzotti e fece i nomi di Giuseppe Calabrò e Antonio Talia, ma nel 2012 il caso fu archiviato perché il reato di omicidio volontario era considerato ormai prescritto: la partita si riaprì nel 2015, quando la Cassazione decise che non poteva esservi prescrizione per gli omicidi, e infine, nel 2022, sono state concluse le indagini e l’anno successivo c’è stato il rinvio a giudizio per Morabito, Latella, Calabrò e Talia.
Attualmente – con il primo processo che si è celebrato lo scorso anno – la tesi è che Morabito sarebbe stato l’ideatore del piano e avrebbe anche fornito le auto per sequestrare Cristina Mazzotti, mentre Latella, Calabrò e Talia sarebbero i mandanti del rapimento a scopo, appunto, estorsivo: dal canto loro, Morabito e Latella hanno accettato il rito abbreviato puntando a uno sconto di pena, con Calabrò e Talia che, invece, hanno optato per il rito tradizionale e combatteranno per la loro innocenza in tribunale.