L’eterno e ancora parzialmente aperto caso del rapimento di Cristina Mazzotti, questa sera, tornerà protagonista della consueta diretta del lunedì della trasmissione Cose Nostre – condotta da Emilia Brandi per la seconda serata di Rai 1 – con la ricostruzione dell’intero accaduto, di quella singolare svolta nelle indagini che rese possibili i processi; tutto fermo restando che (come accennavamo poco fa) resta ancora del tutto aperto il filone più importante dei processi per il rapimento di Cristina Mazzotti, con i processi contro mandanti e ideatori che si sono aperti solamente lo scorso anno e che proveranno a ricostruire le responsabilità della ’Ndrangheta nei fatti di quel 1975.
Senza dilungarci troppo, prima di arrivare ai processi, è certamente utile ricordare che Cristina Mazzotti fu rapita il 30 giugno del 1975: mentre tornava a casa dalla sua festa per i 18 anni, fu rapita da quattro uomini e tenuta prigioniera fino al successivo primo settembre, quando il suo corpo senza vita – e ormai parzialmente scheletrico – fu trovato in una discarica, con l’obiettivo di chiedere un riscatto al padre imprenditore e l’imprevisto del suo decesso, avvenuto tra il 30 luglio e il primo agosto, per via delle pessime condizioni di detenzione.
La doppia svolta nelle indagini sul rapimento di Cristina Mazzotti: il processo avviato quasi 40 anni dopo la morte
Al di là del caso in sé – che comunque trovate approfondito in un altro articolo pubblicato tra queste stesse pagine – è interessante ricordare che, dopo lunghe trattative, il padre di Cristina Mazzotti decise (ignaro che la figlia in quel momento fosse già morta) di pagare un riscatto da 1,5 miliardi di lire – grosso modo 4 milioni di euro –: prima del ritrovamento del corpo senza vita di Cristina Mazzotti, però, ci fu l’importante svolta della scoperta del deposito di circa 56 milioni di lire in una banca svizzera da parte di Libero Ballinari.
Insospettito dall’enorme mole di denaro, il direttore della banca lanciò un allarme alle autorità, ipotizzando un tentativo di riciclaggio da parte di Ballinari e, dopo un lunghissimo interrogatorio a suo carico, l’uomo confessò di essere tra i responsabili del rapimento di Cristina Mazzotti: decise così di collaborare e fece i nomi di tutti gli altri coinvolti, permettendo di arrivare al processo del 1976 in cui vennero complessivamente condannate 13 persone coinvolte a vario titolo nel rapimento e nell’omicidio per “dolo eventuale”.
Rimase, in quel momento, aperto il tema dei mandanti del rapimento di Cristina Mazzotti e solamente nel 1994 si riuscì a ipotizzare un collegamento con la ’Ndrangheta: nel 2007, poi, ci fu la seconda svolta con il ritrovamento di un’impronta appartenente al mafioso Demetrio Latella, ma nel 2012 ci fu l’archiviazione a causa della caduta in prescrizione del reato di omicidio volontario, e qui arriviamo al 2022 in cui – grazie a una sentenza della Cassazione che definì la non prescrizione per l’omicidio – sono state chiuse le indagini con il successivo rinvio a giudizio per i quattro presunti mandanti, ovvero gli ex boss Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò, Antonio Talia e Giuseppe Morabito.