Dall'ultimo Rapporto della Caritas emerge come la povertà riguardi sempre più anche persone che hanno un lavoro
In un periodo segnato da crescenti tensioni commerciali e conflitti geopolitici, che producono evidenti effetti su economia globale e fiducia internazionale, la povertà continua a mantenersi su livelli record.
In Europa, dove la stagnazione della produttività e il ritardo nei processi di innovazione continuano a limitare il potenziale di crescita, il 21% della popolazione vive in una condizione di rischio povertà o esclusione sociale; si tratta di oltre 93 milioni di individui (più di un europeo su cinque) che sperimentano condizioni di grave deprivazione materiale/sociale o che sono penalizzati sul fronte del reddito o da una condizione di bassa intensità lavorativa. L’Italia è, in questa speciale, e poco invidiata, classifica, il settimo Paese per incidenza di persone a rischio povertà o esclusione sociale (al 23,1%, in aumento rispetto al 22,8% del 2023): solo Bulgaria, Romania, Grecia, Spagna, Lettonia e Lituania registrano valori più alti.
Da questa impietosa analisi partono le riflessioni del periodico studio di Caritas italiana sulla povertà nel nostro Paese.
Emerge, in questo quadro, l’elemento della fragilità occupazionale, che si esprime per lo più in condizioni di disoccupazione (47,9%) e di “lavoro povero” (23,5%). Non è, infatti, solo la mancanza di un impiego che spinge a chiedere aiuto: di fatto quasi un beneficiario su quattro rientra nella categoria del working poor, con punte che superano il 30% nella fascia tra i 35-54 anni. Quindici anni fa i disoccupati rappresentavano i due terzi dell’utenza e gli occupati appena il 15%; questo descrive con chiarezza quanto sia mutato il profilo dell’utenza Caritas nel corso degli ultimi 20 anni riflettendo al contempo una profonda trasformazione del fenomeno stesso della povertà.
Sembra, insomma, che nella nostra società il lavoro non rappresenti più, o lo faccia sempre meno, quella dimensione in cui ogni cittadino ha il diritto/dovere di concorrere al progresso materiale o spirituale suo, della sua famiglia e della società tutta secondo, ovviamente, le proprie possibilità e capacità e le proprie scelte come ci ricorda la nostra Costituzione. Si potrebbe dire che non lavora più, come nel passato, da ascensore sociale.
Non dobbiamo però considerare la battaglia perduta. Proprio nei giorni scorsi papa Leone XIV ci ha ricordato come vi sia, oggi come ieri, la necessità di incentivare lo sviluppo di politiche di contrasto alle antiche, e alle nuove, forme di povertà, oltre a nuove iniziative di sostegno e aiuto ai più poveri tra i poveri.
In questa prospettiva urge, quindi, ridare, oltre gli slogan, un senso al lavoro anche attraverso adeguati incentivi e misure idonee che lo valorizzino.
Alla Politica, a partire dal Governo, è chiesto ora di trovare gli strumenti più adatti, e sostenibili, per farlo.
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