Con il loro referendum, Landini e Schlein hanno dimostrato che la sinistra non sa proporre un’alternativa e di fatto favorisce il governo
Il referendum, su cui la sinistra e la Cgil di Maurizio Landini cercavano di giocare una partita decisiva contro il Governo di Giorgia Meloni, si è rivelato un boomerang tragicomico, che alla fine non ha provocato nulla.
Il quorum che qualcuno sperava di raggiungere è rimasto lontano 20 punti. Svolgendo una campagna elettorale dura, con continui attacchi alla presidente del Consiglio, la sinistra ha paradossalmente rafforzato il governo Meloni, mentre si avvia a compiere il terzo anno di gestione e non perde un punto in tutti i sondaggi che vengono elaborati.
In più, da quasi tre anni, Meloni mantiene lo stesso consenso in un Paese dove con l’avvento della seconda repubblica tutti i leader sembravano destinati a un continuo cambiamento. Ma la sinistra, ci si chiede, ha in mente una linea alternativa reale, realistica a questo governo? Anche al di là di critiche quotidiane e di mobilitazioni improvvise, che mescolano tutto e il contrario di tutto, dai problemi del lavoro alla ricerca della pace in un quadro geopolitico sempre più complesso.
Il segretario della Cgil, dopo la bocciatura dei suoi quattro referendum, che a moltissimi elettori sembravano quasi incomprensibili per come venivano presentati, non ha fatto alcuna autocritica né ha dimostrato l’intenzione di dimettersi, dopo una sonora sconfitta come quella subita. Nella successiva conferenza stampa, dopo i risultati, ha ammesso di essere stato sconfitto (evidentemente Landini ritiene che gli italiani siano una massa di “sguerci” che non sanno leggere i numeri), ma mostrava anche una certa soddisfazione perché molti elettori si erano mobilitati per approvare i suoi cambiamenti ad alcune leggi sul lavoro.
Un leader sindacale che riceve una simile sberla elettorale dovrebbe avere forse un altro tipo di atteggiamento, magari rivelando un poco di pudore. Ma qui sembra di essere di fronte a un personaggio che si ritiene padrone della Cgil. Insomma il leader sindacale si è limitato a non fare festa, pur essendo soddisfatto della partecipazione al voto. Un discorso che noi ci permettiamo di definire da delirio puro.
Nei primi commenti dopo il risultato, è arrivato anche il “guru” del Pd e di Elly Schlein, Francesco Boccia, che aveva dichiarato prima delle elezioni e lo ha ribadito a risultato avvenuto: “È stata una partita che aveva molto senso giocare e che dà il senso di un fronte sociale unito e coeso, che, anche in termini di elettori, vale esattamente il centrodestra”.
Naturalmente i primi commenti sono poi proseguiti sulla mancanza di partecipazione al voto, dove la responsabilità ricade, secondo Boccia e i suoi amici, ovviamente sulla politica del centrodestra e si accusa la Meloni e altri esponenti della destra di invitare gli italiani alla non partecipazione elettorale. In più, secondo Landini, c’è la decadenza democratica, di cui ovviamente, lui non ha alcuna colpa.
Quando parlavamo di un boomerang tragicomico ci riferivamo a queste patetiche reazioni di sconfitti che nonostante le loro continue critiche, spesso del tutto pretestuose, all’azione del governo, non riescono a delineare una linea alternativa. L’unico aggettivo che questa sinistra italiana merita è quella di essere un poco “nostalgica”, ma soprattutto provinciale.
Non si smuove da posizioni che spesso sono incomprensibili, non riesce a fare un congresso per stabilire una linea politica che sia veramente alternativa e convincente sul piano nazionale e internazionale. Ed è completamente divisa al suo interno, arrivando a votare in modo molto differente in più di un’occasione.
Mettete insieme i discorsi di Giuseppe Conte dei Cinquestelle, quelli del sempre scatenato Nicola Fratoianni e di Angelo Bonelli, della sinistra radicale, e troverete delle posizioni che creano delle periodiche rotture in tutta la sinistra. Vedremo se il “fronte coeso” di cui parla Boccia reggerà anche nei prossimi mesi.
Formalmente nell’opposizione ci sono anche Matteo Renzi e Carlo Calenda. Ma la loro posizione non è molto lineare. Liberal riformista Calenda, formalmente di sinistra riformista Renzi, sognano entrambi un centro che non esiste. In più litigano spesso tra loro e non riescono a raccogliere la forza di una certa consistenza nel Parlamento italiano e in Europa.
Insomma, alla luce dei risultati di questo referendum, guardando alla mobilitazione della sinistra e alla politica di questa destra che vince da tre anni, viene spontaneo dire che anche dopo la “data storica” che doveva mettere paura alla Meloni, l’Italia si è rivelata un Paese preoccupato di altre cose rispetto ai temi oggetto del referendum voluto dalla sinistra. Altro che affrontarli con un grande dibattito congressuale e poi parlamentare!
Guardando a quello che è avvenuto in questi giorni a sinistra, viene in mente un grande film spagnolo d’altri tempi dal titolo “Nunca pasa nada”: non succede mai niente.
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