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Home » Lavoro » REFERENDUM 2025, QUORUM NON RAGGIUNTO/ I dati che spiegano il flop di Landini & C.

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REFERENDUM 2025, QUORUM NON RAGGIUNTO/ I dati che spiegano il flop di Landini & C.

Giuliano Cazzola
Pubblicato 10 Giugno 2025
Schlein e Landini, Referendum

Referendum, segretaria Pd Elly Schlein con il leader Cgil Maurizio Landini (ANSA 2025, Donato Fasano)

Non è stato raggiunto il quorum ai referendum dell'8-9 giugno. Colpa anche delle scelte compiute dai promotori

I pifferi di montagna scesero a valle per suonare, ma ritornarono suonati. Il vecchio adagio si riferisce a pennello a Maurizio Landini che è nato a Castelnovo ne’ Monti, il centro più importante dell’Appennino Reggiano. In quella ridente cittadina la principale attrazione turistica è La Pietra di Bismantova: un’ imponente roccia calcarea meta di migliaia di visitatori ogni anno. Ovunque dal crinale si scorge la sua inconfondibile sagoma lunga 1 km, larga 240 metri e alta 300 metri rispetto alla pianura circostante. La Pietra viene citata da Dante Alighieri nel quarto canto del Purgatorio e secondo alcuni studiosi il poeta avrebbe visitato personalmente il luogo nel 1306.


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Osservando questo paesaggio si comprendono tanti aspetti della personalità di Landini. È all’ombra di quella Pietra che il leader della Cgil trasse “l’abito fiero e lo sdegnoso canto/ e il petto ov’odio e amor mai non s’addorme” che lo hanno reso tanto sicuro di essere dalla parte giusta, tanto da poter raccontare liberamente ciò che gli pare e di inverarlo alla luce della sua fede.


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Un tempo un importante dirigente del Pci ebbe a dire che lui chiamato a scegliere tra la verità e la rivoluzione avrebbe scelto senza alcun dubbio la seconda. Per Landini – più modestamente – è sufficiente promuovere una rivolta sociale per essere autorizzati a mentire. Solo che questa volta gli elettori se ne sono accorti. Landini non ha tenuto conto di una massima di Abraham Lincoln il quale ammoniva il prossimo con queste parole: “È possibile ingannare tutti per una volta ed uno per sempre; nessuno però riuscirà mai ad ingannare tutti per sempre”.

Landini ha provato in tutti modi – con la proclamazione di una sequela di incomprensibili scioperi generali – a convincere gli italiani di vivere in miseria, in un Paese in cammino verso un regime autoritario, mentre i lavoratori sono privati dei più elementari diritti di libertà, prigionieri di un precariato dilagante, percettori di salari da fame, assassinati sui luoghi di lavoro da padroni che pensano solo al profitto, quando non vengono licenziati in modo arbitrario.


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Per il segretario della Cgil, le principali responsabilità di questo declino non ricadono soltanto sulla attuale maggioranza di governo, ma su di una sedicente sinistra che ha tradito la sua missione e che doveva essere punita attraverso l’approvazione dei quattro referendum sul lavoro.

Landini è il capofila del partito degli “sfascisti”. Come ha scritto Antonio Gozzi: “È ciò che sta avvenendo oggi in Italia, dove la rappresentazione che le opposizioni danno dell’economia del nostro Paese è sovente distorta e non rispondente al vero. È questo, d’altro canto, un vecchio vizio della sinistra comunista che nel passato aveva persino usato un detto: ‘tanto peggio tanto meglio’, che accompagnava l’opposizione dura e senza paura ai Governi centristi e di centrosinistra della Prima Repubblica o ai Governi Berlusconi della seconda”. Lo stesso Antonio Gozzi, citando studi e analisi internazionali, passa in rassegna i principali indicatori:

Crescita del Pil: l’Italia è stata per molto tempo la Cenerentola della crescita in Europa, ma nell’ultimo periodo (2018-2023) ha superato per crescita la Germania, il Regno Unito, la Francia e il Giappone, con una crescita media dell’1% all’anno. Anche la crescita del reddito pro-capite nel periodo 2019-2023 ha visto l’Italia con il +1,3% all’anno, seconda solo agli Usa (+1,9%), ma avanti di molto a tutti gli altri Paesi europei.

Crescita degli investimenti produttivi: nel periodo tra il 2018 e il 2023 l’Italia ha visto un’importante crescita degli investimenti più alta di quella registrata in tutti gli altri maggiori Paesi europei. In questo periodo, infatti, gli investimenti produttivi dell’Italia sono cresciuti del 17,8% contro un +6% della Francia e un -4,5% della Germania. Questa esplosione degli investimenti si deve alla misura adottata dal Governo Renzi chiamata “Industria 4.0”, che ha funzionato benissimo e ha incentivato significativamente gli investimenti in impianti, macchinari, tecnologie.

Esportazioni e commercio internazionale: l’Italia si è confermata negli ultimi anni come il quarto Paese più esportatore del mondo. Nel 2023 su un fatturato della manifattura italiana pari a 1.200 miliardi di euro ne sono stati esportati più di 630 miliardi (pari al 52,5% del totale). In assenza di quelle che un tempo si chiamavano “svalutazioni competitive” della lira, non più consentite dall’esistenza dell’euro, questi numeri mostrano un vantaggio competitivo formidabile della nostra industria.

Ma quali sono le sorgenti di questo vantaggio competitivo? La grande diversificazione della nostra manifattura articolata su molti settori di eccellenza (meccanica e meccatronica, farmaceutico, agro-alimentare, sistema moda, legno arredo, ecc.); l’alta qualità del Made in Italy, richiestissimo in tutto il mondo; l’alta produttività delle nostre imprese industriali, che nelle classi tra i 10 e i 50 addetti e in quella tra i 50 e i 250 è la più alta di tutta Europa, e che nella classe dai 250 addetti in su è seconda solo alla Germania; l’estrema flessibilità delle nostre imprese prevalentemente pmi a controllo famigliare; un’innovazione di prodotti e processi continua e incrementale, che spesso non viene evidenziata nelle spese di R&S.

Sostenibilità ambientale dell’economia italiana: il settore industriale manifatturiero italiano (la seconda industria d’Europa) ha emissioni di CO2 più basse del 5,1% rispetto alla media dell’industria europea. Inoltre, tra il 2013 e il 2023 vi sono stati investimenti ingentissimi in energie rinnovabili (si parla di oltre 200 miliardi di euro di incentivi all’orizzonte del 2030). Infine, l’Italia è il primo Paese europeo per economia circolare in termini di valore aggiunto e addetti.

Capitalizzazione delle imprese: a partire dalla crisi finanziaria del 2007-2008 le imprese italiane hanno dato vita a un processo di progressivo rafforzamento finanziario e patrimoniale. La capitalizzazione delle imprese italiane ha raggiunto nel 2022 il 47,3% del totale delle fonti finanziarie, allineandosi a quella delle imprese tedesche e spagnole e risultando superiore a quella delle imprese francesi. Ciò ha consentito di diminuire i debiti delle imprese italiane verso le banche dal 53,9% sul totale del capitale investito del 2011 al 27,4% del 2024. Ciò significa che le imprese italiane nel periodo che va dal 2011 al 2024 hanno praticamente dimezzato i loro debiti.

Mercato del lavoro: il Governatore della Banca d’Italia Panetta ha dedicato una parte rilevante della sua relazione annuale al mercato del lavoro, sottolineandone la performance straordinaria degli ultimi anni. Contrariamente a quanto sostengono la Cgil e i promotori dei referendum, l’occupazione in Italia è continuata ad aumentare raggiungendo un record storico di occupati, soprattutto nella parte rappresentata dai contratti a tempo indeterminato; e ciò che colpisce in particolare è che nel 2024, nonostante il rallentamento dell’economia e dell’industria, l’occupazione (sempre a tempo indeterminato) ha continuato a crescere.

Landini dice che è cresciuto solamente il lavoro precario, ma questo è un falso smentito dalla relazione di Panetta. Scrive infatti Bankitalia: “La crescita dell’occupazione è stata trainata dal lavoro dipendente a tempo indeterminato, a fronte di un calo di quello a termine, che risente maggiormente del ciclo economico”.

Sempre i promotori dei referendum sostengono che il Jobs Act ha indebolito i contratti e reso più semplici e convenienti i licenziamenti e reso i giovani più precari. Un altro falso. Scrive sempre Bankitalia: “Secondo i dati dell’Inps, la crescita dei contratti a tempo indeterminato è stata favorita anche dal basso tasso di licenziamenti e dall’alto numero di trasformazioni dei contratti temporanei in essere. Si sono invece ridotte le assunzioni a termine per i giovani. Sempre con riferimento ai giovani la disoccupazione nel 2024 è scesa al 6,5% il valore più basso degli ultimi 17 anni”.

E la disoccupazione giovanile nei primi mesi del 2025 è ancora in calo, oggi siamo al 6%. “Il numero degli occupati ha ricominciato a crescere in maniera decisa beneficiando degli investimenti connessi con il Pnrr. La crescita dell’occupazione è proseguita tra i più anziani ed è ripresa tra i giovani”.

È a questo punto che Gozzi si chiede e si risponde: “Avete letto sui giornali queste considerazioni positive del Governatore? Francamente molto poco”.

È proprio così: è la vulgata di Landini a tenere banco sui media soprattutto in tv. La propaganda per il Sì ha dominato la campagna elettorale. Landini e i quattro cavalieri dell’Apocalisse (una urlatrice, un cicisbeo, due scappati di casa in Tesla) hanno persino potuto contare su Tg anche di Telemeloni che nell’illustrare i quesiti ripetevano le motivazioni dei promotori: l’abrogazione del Jobs Act avrebbe portato al reinserimento nel posto di lavoro della persona licenziata ingiustamente (non era vero per quanto riguarda i licenziamenti per motivi oggettivi);

nel secondo quesito veniva abolito il tetto delle sei mensilità per le piccole imprese (nessuno che si prendesse la briga di spiegare che questa regola era pacificamente in vigore da 60 anni); per stipulare un contratto a tempo determinato il datore doveva specificare un motivo (così alla scadenza il lavoratore avrebbe potuto fargli causa); per quanto riguarda la sicurezza, si trattava di stabilire un concorso di responsabilità dell’appaltante con l’appaltatore in caso di infortunio di un suo dipendente (mai che venisse spiegato che questo principio era già vigente da anni e che l’abrogazione avrebbe riguardato solo casi particolari).

I referendari si sono dati la zappa sui piedi: proprio perché avevano attribuito effetti speciali al successo dei referendum, il fatto che siano stati disertati da una grande maggioranza degli elettori rende ancora più cocente la sconfitta. E non si venga a dire che è colpa della maggioranza e di Giorgia Meloni che hanno predicato l’astensione. Si vede che gli elettori si sono fidati più della Premier che della sinistra politica e sindacale. Del resto la Dottrina Boccia ci ha messo tanto del suo.

Il capogruppo del Pd al Senato ha sostenuto che se fossero andati a votare 12,4 milioni di elettori (quanti erano i voti del centrodestra nelle elezioni politiche) questo risultato sarebbe stato un avviso di sfratto per la maggioranza. In sostanza proprio perché Boccia attribuiva al Sì tutti i partecipanti al voto, i partiti di centrodestra non potevano che invitare all’astensione. Inoltre, se la sinistra si attribuisce tutti i votanti (anche i quattro gatti del No), la destra ha buon gioco ad attribuirsi tutti gli astenuti.

Per concludere, se Landini fosse onesto farebbe un salto a Canossa, un Comune confinante con Castelnovo ne’ Monti.

Quanto al referendum sulla cittadinanza, era il solo che sarebbe dovuto passare. Ma Riccardo Magi deve fare “mea culpa”. Per avere credibilità non ci si deve associare a Landini e alla “banda del buco”, tanto più che il M5S ha pensato bene di sfilarsi dalla prima linea col pretesto della libertà di voto, una facoltà che comporta anche di non recarsi al seggio.

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Tags: Maurizio LandiniFrancesco BocciaCgilM5sPd

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