Il duello rusticano tra Giorgia ed Elly è stato solo l’antipasto. In attesa che la tv si riappropri del confronto tra leader dopo anni di monologhi, le due leader si sono riconosciute come avversarie dandosi un tono da caporione davanti ai colleghi di aula ed al Paese. Questa rivalità tutta al femminile è una novità che però sa un po’ di antico. Come quando baffetto D’Alema sfidava Berlusconi da pari a pari sul piano dialettico. Epiche lotte verbali a cui si sono sostituite le nuove idee di comunicazione fatte di monologhi, spin narrativi, card su Instagram. E con grande differenza. Entrambi erano riconosciuti leader dei loro schieramenti. Se oggi questo ritorno all’antico della tv appare una strizzata d’occhio all’elettorato meno giovane e più attivo, che – sperano loro – dal confronto in aula e in tv tra le due nemiche dovrebbe galvanizzarsi, resta il fatto che ormai ci sono diverse e concorrenti opposizioni.
Le due donne sperano che il loro scontro in tv porti gente a votare, visto che, al netto delle ovvie lontananze su famiglia e poco altro, la pensano uguale sui temi della politica estera e del rapporto con l’Europa. Il dibattito va quindi limitato ai temi che dividono, che fanno cassetta e che servono a far salire l’audience. In questo percorso Conte ha un ruolo più contemplativo. Generazione diversa, toni più pacati e contenuti più dirompenti. E prova così a tenere viva la truppa farcendo accordi con la maggioranza sulla Rai e provando a mettersi d’accordo con il Pd sulle regionali. Si è preso la Sardegna in nome dell’unità, ma non molla il Piemonte. Aprendo così all’ennesima facile vittoria del centrodestra.
Cosa ne esce da questo quadro? Semplice. Conte ed il Pd non sono forza di opposizione in grado di costure alternative, bensì cercano a modo loro di far fuori l’altro dando il vantaggio alla Meloni di scegliersi di volta in volta il nemico: a volte la Schlein, a volte Conte, a seconda di cosa conviene nei sondaggi. Avendo così un enorme vantaggio con una tattica semplice, il “divide ed impera”, che per ora funziona benissimo. Oggi Meloni si contrappone in aula a Schlein, poi lo farà con Conte quando le converrà.
Questa debolezza delle opposizioni è la sua maggior forza e la migliore garanzia di durata del Governo. La maggioranza è fatta di gente che si conosce da oltre vent’anni, anche quando litiga trova alla fine la sintesi e riesce a trovare un suo filo comune. Come era per il centrosinistra degli anni novanta, quando prevaleva la logica dell’obiettivo comune su quella della vittoria ai decimali tra alleati. Se quello spirito non torna, se le opposizioni continuano a regalare elezioni e capacità di governo alla maggioranza, sarà molto complesso uscire da questa spirale di posizionamenti tattici che non hanno una reale capacità di presa sull’elettorato.
Perciò ad ogni confronto, anche se la Meloni ne esce non brillante, si gode comunque la scena dei litigi interni, che la galvanizza più di ogni espediente retorico, di ogni accorato appello con cui viene attaccata. Sa che di fronte non ha un D’Alema da temere ma un leadirino di partito. Alla fine la politica serve a conquistare il potere e ad esercitarlo avendo dalla propria parte la maggioranza dei cittadini. Che per ora, e forse ancora a lungo, sta con la Meloni. Non tanto e solo per le sue abilità, ma perché dall’altra parte non riescono neppure a trovare un nome buono da candidare in Piemonte. Figurarsi a trovare un D’Alema qualsiasi.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.