RIAPERTURA, FASE 2/ La differenza tra Italia, Germania e Francia: chi ha copiato chi?
Ieri hanno fatto notizia i numeri sull’aumento dei contagi in Germania. Ma non sembrano esserci ragioni per una marcia indietro sulla riapertura

La notizia della risalita dell’indice di contagio in Germania ieri ha campeggiato per moltissime ore su tutti i principali siti di informazione online. Il non detto era evidente: vedete cosa succede a riaprire? Un’analisi molto superficiale perché a nessuno in Germania è venuto in mente di richiudere o di stringere le misure e soprattutto perché non sono aumentati i morti.
L’istituto Koch che ha diffuso il dato fa quello che in Italia fanno i nostri “tecnici”, che dall’inizio della crisi hanno detto tutto e il contrario di tutto, solo che la politica tedesca, per loro fortuna, ha mostrato un grado di autonomia decisionale molto superiore a quello della politica italiana. Guardiamo i numeri tedeschi: ieri i nuovi casi sono stati 1.144 contro una media di circa 2.000 negli ultimi dieci giorni. Il numero di morti è stato di 163 contro una media di circa 250 negli ultimi dieci giorni. Qualsiasi cosa sia successa in Germania, le riaperture, non ha aumentato né i numeri dei contagiati, né i numeri dei morti. Le riaperture non hanno aggravato la pandemia. Evidentemente si può riaprire senza aggravare la situazione. Certo occorre organizzarsi bene.
Il numero di imprese chiuse in Germania, come si evince in modo incontrovertibile dai consumi elettrici, è una frazione di quello italiano. Le imprese chiuse in Italia hanno controparti in Germania e Francia, spesso della stessa società che funzionano. A cambiare non è il virus, ma la politica: la disponibilità di tamponi, di meccanismi di protezione individuale di strategia non nazionale ma locale ha fatto la differenza.
Ieri il Governo italiano “diffondeva” stime sulla risalita dei posti in terapia intensiva, in caso di fine del lockdown, da capogiro: 151mila persone in terapia intensiva se si riapre. Tutti numeri presi per oro colato dalla “stampa”. Le domande invece abbondano. Per esempio: come è stata presa in considerazione l’evoluzione dei protocolli negli ospedali con percorsi differenziati? L’evoluzione dei protocolli clinici? L’introduzione dei test sierologici? Le mascherine che un mese fa non si usavano? E ancora: sono state incluse le differenze tra regioni? Tra provincia e provincia? Tra comune montano e grande metropoli? Tutti elementi che rendono il “contagio” meno o forse molto meno pericoloso di due mesi fa..
Le riaperture inevitabilmente comporteranno un aumento dei contagi. Non si scappa. A meno di rimanere chiusi fino a luglio e pagare con una crisi economica impressionante anche nelle sue conseguenze sociali. Quello che serve è che la politica predisponga un piano per la convivenza con il virus: disponibilità di strumenti, tamponi, posti liberi in terapia intensiva e tutto il resto. La Germania è sicuramente il caso migliore in Europa con un “lockdown” che è molto meno pervasivo di quello italiano.
Ieri però anche la Francia di Macron ha battuto un colpo: “un confinamento prolungato avrebbe conseguenze gravissime, il rischio del crollo per il Paese. Il crollo: non uso questo termine a cui leggero. Dobbiamo procedere a un’uscita dalla quarantena, a partire dall’11 maggio prossimo”. Queste le parole del premier Edouard Philippe con cui si annunciava la riapertura delle scuole. Anche in questo caso obbligo di mascherine, test di massa (700 mila a settimana), isolamento dei positivi e flessibilità locale. Si ritorna a scuola (asili e elementari) con un massimo di 15 persone per classe dall’11 maggio con la promessa di chiudere se i contagi risalgono e gli ospedali si riempiono. Interessante la titolazione su alcuni media italiani ieri. Per qualcuno la Francia frena, per qualcun altro va avanti. Per i primi frena perché riapre “solo” asili ed elementari. Tutta roba che noi ci scordiamo fino a settembre.
Il virus è uguale, ma è la politica che decide e mette in atto misure di prevenzione, test, mascherine e altro. Ed è sempre la politica che si prende la responsabilità di contemperare esigenze diverse tra cui quelle di non far morire completamente l’economia. In un Paese come l’Italia, dove non è arrivata neanche la cassa integrazione e le imprese muoiono nell’assenza di qualsiasi aiuto, l’urgenza della politica di fare piani dovrebbe essere ancora più impellente. Da noi le scuole “riapriranno già a settembre” come ci ha promesso il Presidente del Consiglio. Quattro mesi dopo quelle francesi anche in regioni e province dove i contagi sono bassissimi.
Il problema dell’Italia è il virus o l’incapacità della politica di pianificare e attuare la convivenza? Uno sguardo ai casi francesi e tedeschi non ci lascia molto tranquilli. Sicuramente non stanno copiando i nostri decreti…
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