Nemmeno le criticatissime “cicale” italiane avrebbero utilizzato una maggioranza parlamentare uscente per fare una riforma costituzionale che la nuova legislatura non hai i numeri per approvare. Eppure in Germania succede proprio questo. Ognuno ha i suoi difetti, e in terra teutonica la doppiezza politica, soprattutto se coniugata con il politicamente corretto e il rigore contabile, è senz’altro uno dei peggiori.
Come quello di utilizzare l’emergenza della sicurezza, ovvero di un’incipiente invasione russa, per riarmare il continente, in modo che a beneficiarne sia l’apparato industriale del Paese che ha più bisogno di investire. “L’interesse pubblico europeo e tedesco è ancora uno e indivisibile”, spiega al Sussidiario Agustín Menendez, docente di diritto pubblico comparato e filosofia politica nell’Università Complutense di Madrid. E il piano di riarmo europeo Rearm Europe sta lì a dimostrarlo.
Ma è un’operazione dagli effetti collaterali pericolosissimi. Uno è la distruzione della spesa sociale, per tutti. L’altro è quello di giocare con la politica estera, rimanendo nella parte di un grande, precario consorzio politico (l’Unione Europea) che gioca con la sicurezza russa.
Perché la maggioranza di un governo uscito sconfitto alle elezioni si prepara a modificare un totem intoccabile della Costituzione tedesca, il freno al debito (Schuldenbremse)?
Sulla base di quello che si legge negli odierni comunicati stampa, che sono i tweets, la piroetta è ancora più azzardata. La nuova maggioranza di governo – la Grosse Koalition CDU-SPD – vuole modificare la Legge fondamentale tedesca, ma non con i deputati appena eletti, espressione recentissima della volontà dei cittadini tedeschi.
E per quale motivo?
Perché in tal caso CDU e SPD non ce la farebbero da soli a far passare la riforma. Invece, vogliono farlo con i già quasi ex deputati, con quello che gli americani chiamerebbero un lame, very lame, duck Parliament (parlamento zoppo, molto zoppo, nda).
Se abbiamo capito bene, il vecchio parlamento farà una modifica costituzionale per ragioni e obiettivi che servono al nuovo parlamento.
Diciamo che si prospetta la risurrezione del vecchio parlamento per far passare, come ultimo attimo di servizio, la riforma della Costituzione. Strana interpretazione dell’articolo 20(2) della Legge fondamentale tedesca.
La Germania intende riarmarsi. C’è un aggettivo che va di moda oggi: “esistenziale”. Se un’emergenza è vera emergenza, infatti, è sempre esistenziale. Dunque riarmarsi è più importante del bilancio in pareggio. Ma è proprio così?
Stimo tantissimo molti colleghi giuristi e filosofi tedeschi. Per questo mi auguro che la loro reazione a questa mossa quanto meno azzardata sia così forte e netta come sarebbe se la proposta fosse partita da un governo greco, italiano o spagnolo.
Sappiamo già la risposta, credo.
Infatti. Nessun dubbio che avrebbero riempito le pagine di giornali e blog europei di critiche sofisticate, denunciando la torsione dei diritti politici dei cittadini, “fondamento ultimo delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri”, eccetera.
Stiamo per un attimo sul punto. L’emergenza di quale “cosa pubblica”? La Germania, in crisi da tempo, o l’Unione Europea?
Se stiamo al discorso dei leaders tedeschi, Merz in primis, la domanda non ha senso, perché l’interesse pubblico europeo e tedesco è uno e indivisibile. E almeno da Andreotti in poi, sappiamo che a pensar male degli altri si fa peccato, ma spesso si indovina. Se guardiamo alla questione centrale, la spesa per gli armamenti, non è affatto chiaro che queste misure siano nell’interesse pubblico, mentre è ovvio che ne approfitteranno a mani basse alcuni privati.
Lei come chiamerebbe tutto questo?
È il Derisking State, che socializza gli investimenti e privatizza i profitti. Ha notato la fretta di tutti i politici tedeschi, inclusa la presidente della Commissione?
Si riferisce al discorso del 4 marzo con cui la von der Leyen ha dichiarato l’urgenza del piano di riarmo, il Rearm Europe?
Certo. Von der Leyen ha calato il più completo silenzio sulle minacce “esistenziali” che penderebbero sull’Europa. Secondo lei sono così evidenti che non val la pena né di farne l’elenco, né di ragionarci su. Forse segue la prassi di non menzionare il diavolo perché porta sfortuna. Per chi vuol capire, fare in fretta è un metodo. Perché è evidentissimo che siamo un’altra volta in emergenza, questa volta militare, no? Quindi il diritto – anche il sacrosanto pareggio di bilancio – stavolta deve tacere.
Lei cosa dice?
Come direbbe il vostro Totò, “cca nisciun è fesso”, ma mi pare che l’argomento stia funzionando benissimo.
Non è chiaro se dobbiamo rallegrarci perché salta un principio cardine del regime ordoliberale tedesco, imposto a tutti gli Stati membri dai trattati europei, oppure preoccuparci perché sta succedendo qualcosa di molto più grave.
All’aggressività con la quale Germania ha esportato lo Schuldenbremse, articolo 81 della Costituzione italiana incluso, non corrisponde un’applicazione coerente a Berlino. Anzi. La doppiezza dello Stato e del ceto politico tedesco sul pareggio di bilancio è evidentissima dal novembre 2023. Come ricorderanno i lettori, in quella data la Corte costituzionale federale tedesca dichiarò incostituzionale la seconda legge addizionale di bilancio del 2021. Oltre alla disposizione concreta, la Corte metteva in questione la pratica consolidata da parte del governo di aggirare il rispetto delle regole fiscali, e in particolare il pareggio di bilancio, creando ripetutamente bilanci paralleli nel nome di questa o quella emergenza.
Detto in altri termini, se possibile?
Nel 2023 la Corte ci ha ricordato che dal 2009 fino al suo intervento, i politici tedeschi avevano agito come se la vera costituzione fiscale tedesca non si trovasse negli articoli 109 e 115 della Legge fondamentale – la Costituzione –, ma nelle leggi addizionali di bilancio.
Proprio in quel periodo venne fuori che i falsi rigoristi imponevano il rigore agli altri.
Precisamente. Infatti, malgrado quella sentenza, il ministro Lindner è riuscito a imporre una riforma del Patto di Stabilità rigorista e autolesionista, penalizzando gli investimenti in tutti gli Stati. Fulgido esempio di scarsità delle classi dirigenti europee.
Gli altri cosa c’entrano?
Tutti i governi europei sono stati d’accordo nel conformarsi ai dettami tedeschi, malgrado non facessero a casa loro quello che predicavano e imponevano fuori.
Torniamo alla riforma costituzionale. Giusta o sbagliata?
Non vorrei sembrare opportunista, ma credo che forse questa sarebbe stata una delle poche occasioni nelle quali il pareggio di bilancio avrebbe potuto avere una funzione positiva, come ostacolo ad una spesa in armamenti immane e improvvisata, e per di più senza un minimo di dibattito pubblico. Insomma, quando il freno al debito poteva essere utile, viene smantellato.
Il ministro delle Finanze tedesco uscente Jörg Kukies ha fatto i calcoli su Pil tedesco, freno al debito e spesa per le armi. Non la preoccupa, nel tweet di Kukies, quel “rapido dispiegamento dei nuovi fondi di difesa”? A cosa serve?
Credo che su questo sia fondamentale l’argomento già sviluppato da Mini su queste pagine. La guerra in Iraq nel 2003 è stata l’ultima occasione nella quale una parte dei governi europei ha agito in maniera autonoma dagli Stati Uniti. Da allora in poi, abbiamo semplicemente fatto ciò che gli americani ci dicevano fosse nei nostri interessi e che corrispondeva puntualmente ai loro interessi. Basta pensare al mistero insolubile del sabotaggio di Nord Stream 2, o al tasso ideologico del contro-antisemitismo tedesco. O alla “svolta geostrategica” e “realista” post-2022 dell’UE, che nella pratica ha significato, ancora una volta, fare gli interessi USA. Adesso siamo andati ancora oltre.
In che senso?
Nel senso che facciamo non più gli interessi americani attuali, ma ancora quelli dell’Amministrazione Biden, malgrado mettano in pericolo i nostri interessi. Secondo i dati del SIPRI, nel 2023 l’Europa, incluso il Regno Unito, ha speso in difesa tre volte quanto la Russia. Vista la situazione demografica della Russia, aggravata per il bagno di sangue in Ucraina, come si fa a insistere nel qualificare la Russia come “nemico esistenziale”, rischiando di auto-avverare una profezia invece di tentare di negoziare con Mosca un nuovo concetto di sicurezza del Continente?
Appunto, come si fa?
Per dire queste cose ci vorrebbero un Charles de Gaulle o un Willy Brandt, ma purtroppo in giro non ce ne sono.
Il riarmo in emergenza solleva molte questioni, a cominciare dalla sospensione del Patto di stabilità con la sua clausola di “salvaguardia per la resilienza al disavanzo” riguardante i Paesi più indebitati. Cosa pensa in proposito?
La norma rilevante a questi effetti, il Regolamento 2024/1263, è stato finalizzato meno di un anno fa, il 29 aprile dell’anno scorso, ben due anni dopo la recrudescenza della guerra in Ucraina. Questa norma prevede all’articolo 25 un’unica ragione valida per sospendere il Patto di stabilità in tutta l’Unione: specificamente, una “grave congiuntura negativa nella zona euro o nell’Unione nel suo complesso”. Invece, all’articolo 26, si fa riferimento a un’espressione meno specifica riguardante la sospensione del Patto in un solo Stato, ossia che “circostanze eccezionali al di fuori del controllo dello Stato membro abbiano rilevanti ripercussioni sulle sue finanze pubbliche”, direttamente ispirata all’articolo 122 TFUE. Non credo che sia stata presa molto sul serio la possibilità di invocare l’articolo 25, malgrado il keynesismo in versione militare sia egemonico fra le élites politiche europee in questo momento. Infatti, von der Leyen martedì ha parlato espressamente di attivare le clausole di salvaguardia nazionali. Ne ha parlato erroneamente al singolare, un errore che non è stato corretto nemmeno nella versione scritta del discorso. Credo ci siano buone ragioni per dubitare che questo modo di procedere sia legittimo.
Il motivo?
La disattivazione simultanea dei 27 vincoli nazionali – o forse meno, perché non è chiaro se tutti gli Stati siano disposti a chiederlo – sarebbe una maniera di aggirare l’articolo 25, che tassativamente limita la sospensione generale a una recessione generale nell’Eurozona o nell’Unione nel suo complesso. In ogni caso, mi sembra che questa proposta dimostri la scarsa qualità tecnica del Regolamento e l’inclinazione dei servizi giuridici europei ad agire come veri e propri Azzeccagarbugli. Evitando così la soluzione naturale in questi casi, che sarebbe la modifica del Patto, nato già morto.
In questo contesto europeo di riarmo in regime di emergenza la Germania ha un ruolo specifico?
Da una parte direi che è molto simile a quello di altri Paesi europei. Veniamo da più di 15 anni di mancati investimenti pubblici in attività produttive. È una crisi congiunturale figlia dell’austerity e di ciò che Draghi chiama iper-globalismo, dimenticando – si fa per dire – che lui stesso è stato uno dei suoi fautori. A questa crisi si aggiungono le conseguenze dell’aver superato da tempo i limiti planetari dei combustibili fossili e di molte altre risorse minerali. È vero però che il “sistema Germania” ha finito per patire tardivamente ma molto intensamente le conseguenze della politica scellerata imposta dalla Germania a tutto il continente. Quindi, la retorica dell’emergenza militare servirà a edulcorare al contribuente la pillola degli ingenti costi di “ristrutturazione” del sistema produttivo tedesco.
Cosa bisogna fare in questa situazione?
Certamente investire. Ma il keynesismo militare non soltanto è controproducente, rischia anche di essere l’ultimo rifugio dei furbi.
Nel governo italiano si è svolto un vertice di maggioranza. Salvini, il più critico verso il riarmo, avrebbe detto: “sembra che possiamo fare debito comune solo per armarci, e non per le scuole o la sanità”. Tajani ha detto pubblicamente di essere d’accordo perché così si realizza il sogno di De Gasperi. La Meloni avrebbe ribadito “decido io”, desiderosa di fare investimenti ritenuti “strategici”. Chi ha ragione?
Salvini ha semplicemente preso atto di cosa implica il Rearm Europe. Ricordiamoci che, per quello che riguarda il debito nazionale, Lindner ha reso impossibile una modifica del Patto di stabilità orientata a facilitare le spese in investimenti, incluse certamente l’educazione e la sanità. Adesso, invece, si vuole far passare una spesa per il consumo, non un investimento, visto che di armi ce ne vogliono sempre di nuove e di migliori. Una decisione che per di più prima o poi avrà ricadute pesantissime sulla spesa sociale. Infatti, ci sono già opinionisti noti nei circoli di potere che avanzano questa idea. Si legga l’articolo di Janan Ganesh sul Financial Times, per esempio.
E De Gasperi?
Credo che tutti i lettori siano in grado di giudicare da soli se Rearm Europe sarebbe stato il sogno o piuttosto l’incubo di De Gasperi. Ho l’impressione che Tajani non abbia letto il libro di Mark Gilbert, Fuori dall’abisso, che offre al lettore un profondissimo ritratto del leader trentino. Forse è l’ora che lo faccia. In ogni caso, come l’UE possa continuare a presentare se stessa davanti al mondo come un progetto di pace, è un mistero.
(Federico Ferraù)
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