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Home » Esteri » Europa » RIARMO UE/ “Stop dell’europarlamento a von der Leyen, ma c’è un piano per andare avanti lo stesso”

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RIARMO UE/ “Stop dell’europarlamento a von der Leyen, ma c’è un piano per andare avanti lo stesso”

È arrivato l’alt della Commissione Juri dell’europarlamento al piano di riarmo europeo. Ma è davvero una sconfitta di von der Leyen?

Int. Agustín José Menéndez
Pubblicato 24 Aprile 2025 - Aggiornato 7 Maggio 2025 ore 01:02
Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, con Kaja Kallas, Alto commissario agli Esteri (Ansa)

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, con Kaja Kallas, Alto commissario agli Esteri (Ansa)

Sul piano Rearm Europe, rinominato “Readiness 2030” (Prontezza 2030), è arrivata una doccia fredda: la Commissione Affari giuridici (JURI) del Parlamento europeo si è espressa contro l’utilizzo dell’articolo 122 TFUE per approvare lo strumento finanziario (Security action for Europe, SAFE) della componente sovranazionale del piano di riarmo aggirando l’europarlamento.


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Sembra una delle tante cronache da specialisti di cose europee, invece è una bocciatura politica. Il Parlamento ha detto no a un ennesimo “Whatever it takes” alla Draghi, stavolta in veste von der Leyen. Ma un accordo, spiega Agustín Menendez, docente di diritto pubblico comparato e filosofia politica nell’Università Complutense di Madrid, si troverà. Non per tornare indietro, ma per andare avanti. “Il complesso militar-industriale-tecnologico europeo, per dirla con un Eisenhower aggiornato, è decisamente già nato” secondo il giurista. Ed è pronto a passare sulla testa degli Stati.


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Quanto è importante lo stop di ieri e perché? 

I non addetti ai lavori devono sapere che, un’“emergenza” dopo l’altra, l’articolo 122 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) ha mutato la sua natura giuridica e anche quella politica. Ci sono tre passaggi fondamentali.

Partiamo dall’inizio.

La norma attuale trova le sue origini in due norme del Trattato CEE (103.2 TCEE e 108 TCEE), che nella disciplina originaria europea erano parte della disciplina della cosiddetta politica economica “congiunturale”. Insieme, queste due norme costituivano la procedura di decisione e la base legale dell’eccezione. L’obiettivo era quello di far fronte a situazioni di “emergenza” finanziaria, come una crisi nella bilancia dei pagamenti nel caso dell’articolo 108 TCEE. Queste norme erano destinate ad essere usate molto di rado.


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Il ruolo del Parlamento europeo?

Non era parte del processo decisionale e questo era fisiologico, visto che allora la sua funzione era essenzialmente consultiva.

Andiamo avanti. Il secondo passaggio?

Riguarda il Trattato di Maastricht. Il precedente immediato dell’attuale articolo 122 TFUE si consolida come processo decisionale e base legale dell’eccezione, ma lo fa come parte dell’architettura della “separazione” dei Tesori nazionali. Si ricordi che l’Unione monetaria era fondata sul divieto di assistenza finanziaria fra Stati e quindi su Tesori chiaramente separati. In questo contesto, il 122 TFUE si configura come norma che introduce poche e molto modulate eccezioni al famoso 125 TFUE, contenente la clausola di no bail-out.

Cambiano le prerogative del Parlamento?

Malgrado il trasferimento di nuove competenze, il Parlamento europeo rimane fuori dall’equazione delle procedure previste adesso nel 122 TFUE, a differenza di quello che succede nelle procedure di urgenza nazionali, dove il parlamento non interviene ex ante ma almeno lo fa ex post, come nel caso dei decreti-legge.

E il terzo passaggio?

Arriviamo così al carosello di emergenze post 2008, nel quale l’eccezione diventa la norma, ma il Parlamento rimane ancora spettatore. Ottiene piccole, simboliche concessioni. Una posizione sgradita, naturalmente, ai parlamentari. E siamo a ieri. Nel suo ricorso all’art. 122 TFUE come base legale per creare lo strumento finanziario della componente europea del piano di riarmo, von der Leyen ha fatto ciò che ha chiesto Draghi nel suo discorso del 18 febbraio scorso – quello del “Fate qualcosa, fatela presto!” –, ma senza saper intercettare il malumore del Parlamento. Che infatti, nella votazione della Commissione JURI, si è pronunciato contro questa scelta. Si può pensare che abbia pesato il fatto, palese, che qui non si prospetta una “emergenza” breve, perché i soldi per il riarmo si spenderanno come minimo fino al 2030 (il piano si chiama “Readiness 2030”, nda).

Non sappiamo ancora quale sarà la Raccomandazione della Commissione JURI a von der Leyen. Ma si può ritenere che la presidente vorrà andare avanti: cosa succederà?

Se le cose vanno come è già successo in altre occasioni, il Parlamento tenterà di fare leva sul bisogno impellente della Commissione e di una parte degli Stati membri per modificare il cosiddetto soft law mediante un accordo interistituzionale, in modo da creare qualche forma di riconoscimento concreto del ruolo del Parlamento quando si ricorre al 122 TFUE come base legale. Non sarei stupito se quelli che hanno votato contro abbiano già in mano proposte concrete in questo senso. Anzi, sarà così, altrimenti non si spiega l’unanimità nel voto della Commissione JURI dopo che il Parlamento ha “plebiscitato” qualche settimana fa il Libro bianco della Commissione sulla Difesa.

Ma secondo lei qual è l’obiettivo del Parlamento?

Io escluderei che il Parlamento sia deciso a insistere sull’argomento fondamentale sollevato ieri dalla Commissione JURI. Uso il condizionale perché la pagina web del Parlamento non è esattamente user friendly, e quindi le mie opinioni si basano su notizie trapelate, non sui documenti ufficiali. Il Parlamento ha detto che la base legale adeguata per il SAFE è il 173 TFUE, non il 122. In quel caso, certo, il Parlamento ha voce piena in capitolo. La cosa interessante, a questo punto, è un’altra.

Ovvero?

Diventa esplicito ciò che tutti sanno, ovvero che non c’è Rearm Europe senza una strategia industriale, e che Rearm Europe è motivato dalla volontà di trovare i soldi per la riconversione di una buona parte dell’industria europea, tedesca in primis. La questione giuridica nasconde una questione squisitamente politica.

Ma allora perché la commissione JURI ha votato contro?

Per difendere le sue prerogative istituzionali, il Parlamento ha tolto dal volto della Commissione la maschera dell’emergenza militare. Ma molto probabilmente il Parlamento rimetterà la maschera al suo posto se ottiene qualche concessione sul suo ruolo nei casi in cui la base legale di un atto giuridico è il 122 TFUE.

Se non si trovasse un accordo, quale sarebbe il suo scenario? 

L’ipotesi più probabile sarebbe quella di uno scontro istituzionale, risolto dai giudici della Corte di Giustizia (CGUE), che farebbe da arbitro fra il servizio giuridico del Parlamento e quello della Commissione. Ma al momento, ripeto, è solo una ipotesi.

Il problema rimarrebbe politico.

Sì. E la tendenza alla giuridificazione costante dei problemi politici rivela la debole legittimità democratica della Commissione, che un’emergenza dopo l’altra si è logorata sempre di più.

Nel frattempo, mentre il piano di riarmo europeo ha questi problemi, la strada dei piani di riarmo nazionali è già tracciata?

Credo si impari molto leggendo il Libro bianco. In esso si sottolinea l’urgenza del riarmo a causa del “disengagement” americano e nello stesso tempo si scommette sulla continuità della centralità della NATO nella difesa europea. Ma è possibile una NATO senza gli americani? Ci sono altre ambiguità: si rigetta ogni possibilità di ridurre il livello di scontro con la Russia mediante una “Yalta 2” – come si propone di fare l’amministrazione Trump, scollegando la Russia della Cina in una sorta di “Reverse Nixon Strategy” –, e contemporaneamente si enfatizza il bisogno impellente di seguire le indicazioni degli americani aumentando la spesa militare.

Ecco, se questo è il contesto?

Se così stanno le cose, le pressioni verso qualsiasi governo che non si sentirà di aumentare le spese militari sono e saranno immense, anche se questo volesse dire bypassare i processi decisionali democratici. Come sta già succedendo.

Dove?

In Spagna il presidente del Consiglio ha annunciato un’impennata ulteriore della spesa militare per raggiungere il 2% Pil quest’anno. E pretende di farlo senza un accordo unanime in Consiglio dei ministri e senza passare dal Parlamento. Infatti il governo non è riuscito a far approvare una legge di bilancio nel 2024 e ha rinunciato a formulare le sue proposte nel 2025. Nonostante questo, Sánchez è deciso ad andare avanti con il target del 2%. È difficile non concludere che le pressioni sono fortissime.

Lei ci aveva già detto che il piano europeo di riarmo usava in modo strumentale una falsa emergenza, quella della difesa europea, con l’obiettivo di beneficiare l’industria tedesca. Quando cadrà questa foglia di fico? 

La foglia di fico non è neppure necessaria: che l’effetto fondamentale del programma di riarmo sia la trasformazione della base industriale europea, e tedesca in primis, ci è stato detto in maniera esplicita. Basta leggere le proposte di riforma costituzionale in Germania, uscite dalle penne dei parlamentari CDU/CSU, SPD e Verdi. Lo ha ripetuto il ministro delle Finanze tedesco la settimana scorsa in una intervista al FT. Ma su questo in Europa non c’è dibattito. I media mainstream sono generalmente entusiasti e complici. Il complesso militare-industriale-tecnologico europeo, per dirla con un Einsenhower aggiornato, è decisamente già nato.

Il parere negativo di oggi ci riporta al 6-7 marzo, quando venne deciso Rearm Europe, e all’entusiasmo della von der Leyen davanti all’attimo imperdibile di una nuova soggettività politica europea. Che cosa serve per tornare lucidi?

Forse basterebbe prendere sul serio le parole che si dicono. Un caro collega ed amico, Marco Dani, mi ha fatto notare un paragrafo interessantissimo nella Comunicazione della Commissione europea sul ricorso alla “attivazione” coordinata della clausole di salvaguardia nazionali del Patto di Stabilità e crescita. A pagina 6 si prevede che per 4 anni la spesa per la difesa pari all’1,5% del Pil non sarà computata agli effetti del Patto. E dopo? Il documento è chiarissimo: gli Stati dovranno fare una “reprioritization” delle proprie spese.

Forse non c’è bisogno di tradurre.

Vuol dire che si dovranno tagliare altre spese, a cominciare da quella sociale. Quindi non sono i pacifisti a dirci che il dilemma è sempre quello di scegliere fra cannons (cannoni) e butter (spesa sociale): ce lo dice la Commissione! Perché c’è zero dibattito anche su questo?

(Federico Ferraù)

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Tags: Ursula Von Der LeyenMario Draghi

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