Alla fine il Governo, prima di arrivare alla sua crisi, ha partorito un topolino. Il tema dei riders era stato scelto da subito dal ministro del Lavoro come bandiera del “cambiamento”: le grandi e spersonalizzate piattaforme digitali avrebbero dovuto adattarsi, e velocemente, alle nuove disposizioni in difesa della dignità di ogni lavoratore. Dopo i proclami e qualche primo tavolo convocato a geometrie variabili (le parti sociali storiche, che però non rappresentano le piattaforme, le imprese del settore, associazioni e sindacati più o meno rappresentativi dei riders…), la realtà ha presentato il conto alle semplificazioni politiche e sono emersi i tanti nodi di un settore non riconducibile alle tradizionali dinamiche economiche e del mercato del lavoro: i diversi modelli di business nelle aziende, le tipologie contrattuali adottate, i diversi algoritmi, la rigidità verso la riconduzione a qualsiasi Ccnl per scegliere la strada della.co.co.co governata dalla contrattazione.
Le complicazioni tecniche emerse hanno convinto la politica ha spostare l’argomento lontano dalle priorità. Il dossier è sempre rimasto aperto, però ravvivato nel tempo dalle sentenze della giurisprudenza, dall’abbandono dell’Italia dal parte del primo operatore di mercato, delle fusioni tra grandi gruppi. Dopo oltre un anno di confronti e proposte legislative, viene ora diffuso uno schema di decreto legge contente la regolazione del lavoro dei riders.
Un testo piuttosto lontano dalle prime intenzioni del Governo, senza particolari spunti di coraggio, ma neanche eccessi di ideologia. L’esecutivo ha rinunciato alla pretesa di regolare qualsiasi moderna forma di lavoro autonomo “dipendente” da piattaforma e si è concentrato solo sulla “tutela per i prestatori occupati con rapporti di lavoro non subordinato (…) impiegati nelle attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di veicoli a due ruote o assimilabili, anche attraverso piattaforme digitali”. A costoro saranno riconosciute le prestazioni finanziate dalla gestione separata Inps anche solo dopo un mese di versamenti, le tutele assicurative Inail e, soprattutto, una paga oraria conforme al Ccnl che deve essere prevalente rispetto alla retribuzione a cottimo (oggi i riders sono pagati in proporzione alle consegne e alle tipologie di consegne effettuate).
In estrema sintesi, il Governo vuole garantire per via legislativa diritti tipici del lavoro dipendente anche ai collaboratori non subordinati che operano per le piattaforme di consegna a domicilio di cibo e lo fa creando una nuova tipologia contrattuale all’interno del c.d. Testo Unico dei contratti che fa parte del Jobs Act. La stessa soluzione era raggiungibile per via pattizia attivando la regolazione specifica delle co.co.co. in qualche contratto collettivo. Gli operatori e i riders non si sono mai messi d’accordo su quale utilizzare (logistica o ristorazione?) e il Governo aveva probabilmente bisogno di mettere la propria forma su un atto legislativo. Fatto sta che le relazioni industriali rientrano dalla finestra, perché ora le parti dovranno intendersi comunque sul contratto di riferimento rispetto al quale calcolare i minimi orari, a riprova che la soluzione fuori dalla legge era probabilmente, fin da subito, la migliore.
@EMassagli