Come mantenere la passione per la scienza e la tecnologia che ne consegue senza demonizzarla e al tempo stesso senza l’incoscienza del pericolo intrinseco? Il tema non è irrilevante, si gioca nel quotidiano e nel cuore di ogni uomo: non c’è solo la mitologia greca a parlarne, c’è anche il libro della Genesi che pone all’origine della fatica del lavoro e della morte un peccato della stirpe umana, per l’esercizio di una certa volontà di conoscenza che si sostituisce alla dipendenza da Dio.
Paolo Takashi Nagai è il medico che ha portato radiologia e radioterapia in Giappone, praticandola e sviluppandola. La passione per la conoscenza e per la scienza era il suo modo di star di fronte alla realtà. Rigettata la religiosità scintoista nella quale era stato formato, si laureava in medicina pieno della baldanzosa ingenuità del più grossolano materialismo scientista che il Giappone importava dall’occidente.
Ma in lui il realismo vinceva sullo scientismo. Andava al fondo di tutto, come avvenne alla morte della mamma, incapace di parlare per un’emorragia cerebrale: lo guardava, spirando, con occhi che rivelavano al figlio che c’era con certezza qualcosa di spirituale in quel fascio di carne, ossa, nervi e visceri, a cui la cultura nuova che imparava in università pretendeva limitare tutta la consistenza di un uomo. Da quel momento in poi tutta la sua vita sarebbe stata spesa per verificare questo mistero con la ragione.
Non rinunciò alla scienza, fu punto di riferimento negli studi di medicina nucleare, docente universitario di radiologia e fisica delle particelle, pioniere dell’uso diagnostico e terapeutico delle radiazioni ionizzanti, fino al punto di ammalarsi di leucemia per non essersi mai risparmiato. Ma questa stessa volontà di verifica lo portò ad aderire alla fede cristiana, pungolato dai pensieri di Pascal che proponeva la fede come atto di ragionevolezza. Il 9 agosto del 1945 era in radiologia all’ospedale di Nagasaki quando il Fat Man venne sganciato poco distante. Si salvò fortuitamente e riemerse trovando un regno apocalittico e infernale.
Nessuno dei sopravvissuti sapeva cosa fosse successo. La Little Boy di pochi giorni prima a Hiroshima era stata sottaciuta dai media. Ma lo scienziato Nagai realizzò all’istante che poteva essere solo l’esito di una fissione nucleare, di cui si parlava come traguardo affascinante ma inattuabile della fisica quantistica: simultaneamente all’orrore della distruzione, nasceva l’ammirazione per la grandezza della mente umana. La sua capacità di osservazione lo rendeva portatore di speranza mostrando poco dopo la distruzione nucleare i segni di ripresa della vita con il brulicare dei vermi e i primi germogli, instillando così fiducia nella rinascita.
La sua intraprendenza e le capacità acquisite nelle due guerre in Manciuria a cui aveva partecipato come soldato e ufficiale medico lo rendevano capace di risposte organizzative efficaci e tempestive nella città distrutta e impazzita. Ma il contributo più determinante non venne dalla scienza, o dalle doti organizzative, ma dalla fede, affermando che la caduta della bomba su Nagasaki, sede della presenza cattolica più significativa del Giappone, era segno che era stata scelta come agnello sacrificale offerto a tutto il mondo per porre fine alla guerra. Non la bomba, dunque, ma il sacrificio di alcuni, aveva reso strumento di pace persino la violenza dell’uomo.
Le sue parole scandalizzarono gli abitanti di Nagasaki, come molti di noi oggi. Ma negli anni successivi fu oggetto di un flusso ininterrotto di persone che gli facevano visita, in una condizione di vita monastica, che lascia ancora oggi il segno: la vulgata dice che – dopo le bombe atomiche – “Hiroshima grida e Nagasaki prega”. Noi medici stiamo vivendo in questi decenni una crescita della tecnologia a supporto della nostra professione, che non tocca solo gli strumenti di diagnosi e terapia, ma con la telemedicina, i big data e l’intelligenza artificiale, promette di ridisegnare gli approcci clinici ai nostri pazienti. Avvertiamo a maggior rischio di ieri lo spazio artigianale nella nostra professione. Oscilliamo tra entusiasmi incondizionati e timori anacronistici della tecnologia, gravida di possibilità positive e di implicazioni ambivalenti.
Più evoluta la tecnologia, più profonda la responsabilità, di non portare avanti la produzione senza farsi domande (Oppenheimer) e neppure ritrarsi dall’avventura, auspicando regole e normative di controllo (Arendt). Ma da dove verrà questa profondità? Non un equilibrio ci salverà ma una eccedenza, che tenga dentro tutta la contraddizione, oltrepassandola. Paolo Takashi Nagai ci mostra che la strada è nell’usare pienamente la ragione, andare fino alla totalità dei fattori del reale, riconoscendone la dimensione di mistero, che non è inconoscibile, ma inesauribile; e in questa conoscenza essere leali con la realtà e certi che non tradisce come un vaso di Pandora, perché è il dono di un Dio buono, e non la punizione di uno Zeus permaloso e invidioso del bene dell’uomo.
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