Si scrive “cherry picking”, si legge “assunzioni senza concorso” o “con eventuale concorso differito”. La riforma dei concorsi che sta disegnando l’inquilino di palazzo Vidoni ha molti punti in comune con le continue “semplificazioni” degli appalti: parlare di merito, concorrenza e selezione, mentre si eliminano, in molti casi, gli strumenti essenziali per assicurare quei principi, cioè la gara d’appalto e, appunto, le prove concorsuali.
Di per sé, la riforma contenuta nell’articolo 10 del d.l. 44/2021 riduce il concorso a un esercizio poco più che formale: nella fase di emergenza, infatti, i concorsi possono sostanzialmente ridursi a una sola prova scritta telematica di un’ora, senza nemmeno prova orale, spostando tutto sui titoli e l’esperienza professionale. Lasciando, in assenza di criteri generali su come pesare i titoli e, soprattutto, l’esperienza (della quale sarebbe necessario fornire anche un concetto chiaro), al totale arbitrio delle amministrazioni di volta in volta la determinazione appunto dei pesi in termini di punteggio: col rischio che un medesimo titolo e una medesima esperienza di uno stesso candidato valgano 100 in un concorso e 50 in un altro.
Ma, per l’assunzione di tecnici, in particolare ingegneri, informatici, esperti in organizzazione aziendale e gestione e rendicontazione dei fondi, utili per la concreta attuazione dei progetti finanziati dal Recovery Plan si va oltre, appunto con l’eliminazione radicale del concorso.
Lo ha chiarito lo stesso Ministro Brunetta nel suo intervento in occasione della prima giornata del Festival del lavoro 2021. Riferiscono i media che secondo il Ministro “se un’amministrazione cerca un ingegnere esperto nella progettazione di ponti sospesi saranno gli ordini attraverso la loro conoscenza degli iscritti a dirci chi eccelle in quella specializzazione e può quindi essere immediatamente assunto, attraverso un’operazione di cherry picking, di scelta delle carriere migliori, che rappresenta una innovazione fondamentale per la p.a.”.
La cosiddetta “innovazione” è appunto l’eliminazione dei concorsi. Incostituzionale? Non necessariamente. L’articolo 97, comma 4, della Costituzione dispone sì che “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso”, ma precisando “salvo i casi stabiliti dalla legge”. È dato modo, quindi, al legislatore di stabilire circostanze al ricorrere delle quali le assunzioni possono anche essere frutto di un procedimento diverso dal concorso tradizionale.
È evidente, quindi, che il cherry picking dovrà essere regolato da una legge che lo preveda e regoli espressamente e, auspicabilmente, in modo da chiarire in termini indubitabili e rigorosissimi i casi oggettivi e le condizioni soggettive in presenza dei quali sarà attivabile, per prevenire gli abusi che, comunque, si può scommettere saranno tanti.
Agli organi di governo fa gola da sempre la possibilità di “scegliere” i dipendenti, senza concorsi, con l’ambizione di creare un apparato “fedele” più che competente e autonomo sul piano tecnico. Tentativi di estendere, quindi, le chiamate dirette ve ne saranno moltissimi. Lo sa benissimo l’Anac, e lo stesso legislatore, visto che l’articolo 1, comma 16, della legge 190/2012 considera proprio le procedure concorsuali come uno dei quattro procedimenti amministrativi a maggior rischio di corruzione. L’allegato 3 al Piano Nazionale Anticorruzione prevede tra i rischi specifici di corruzione “previsioni di requisiti di accesso ‘personalizzati’ ed insufficienza di meccanismi oggettivi e trasparenti idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire allo scopo di reclutare candidati particolari”. Il compito di regolare il cherry picking in modo da ridurre i rischi non appare affatto agevole.
Ma, al di là dei problemi, pur molto gravi, di coerenza complessiva di un sistema di chiamata diretta, sia pur mediata dagli Ordini (ma non si capisce quale garanzia di terzietà e imparzialità possa provenire da tale mediazione), vi sono altri elementi ancora che non è facile comprendere.
Proprio perché il sistema di chiamata diretta è fortemente derogatorio al metodo dei concorsi, preferito dalla Costituzione, le assunzioni dei tecnici mediante cherry picking porterà alla sottoscrizione con essi di contratti a termine. La previsione di un termine è del resto coerente con la durata a tempo determinato dei progetti attuativi del Recovery plan, i quali non andranno oltre il 2026. Già questo impone alcuni ulteriori problemi: laddove una Pa intendesse assumere gli esperti col sistema immaginato dal ministro della Funzione pubblica già nel 2021 e fino al 2026, occorre una specifica deroga al tetto massimo di durata dei contratti a termine nella Pa, che è di 36 mesi (salvo per la dirigenza a contratto, visto che può giungere fino a 5 anni). L’inquilino di palazzo Vidoni, comunque, non esclude che una volta scaduti i contratti sia possibile comunque la successiva stabilizzazione dei tecnici, attraverso concorsi “differiti”, fatti cioè a valle della loro assunzione e mirati, appunto, all’immissione definitiva di chi sia stato “chiamato” per attuare progetti del Recovery.
Per un verso, questo conferma i timori espressi dai professori Boeri e Perotti: il complesso della riforma delle assunzioni nella Pa mira a precostituire esperienze e percorsi agevolati per chi abbia in qualche modo ottenuto la possibilità di mettere un piede negli uffici pubblici, con sacrificio evidente del pur enunciato obiettivo di valorizzare i giovani neolaureati, che in quanto tali né possono vantare esperienza, né necessariamente sono abilitati e iscritti in ordini professionali. Ma, il vero problema è un altro. Rimanendo all’esempio dell’ingegnere esperto in ponti sospesi, la modalità generale con la quale la Pa affida incarichi di progettazione e gestione di opere pubbliche è l’affidamento di incarichi specifici.
La normativa che regola questi incarichi è contenuta nel codice dei contratti: infatti, si tratta di appalti di servizi pubblici. Attualmente, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera a), del d.l. 77/2020, convertito in legge 120/2020, è possibile anche l’affidamento diretto dei servizi di ingegneria, fino all’importo di 75.000 euro. Oltre, occorre comunque una procedura selettiva.
Ora, immaginando un contratto di lavoro a tempo determinato anche di soli 3 anni attivato per un ingegnere da adibire ai progetti del Recovery plan, posto che venga assunto in una posizione di funzionario, il costo complessivo lordo medio annuo per simili figure è di oltre 34.000 euro l’anno: la durata triennale, quindi, farebbe andare la spesa complessiva oltre la soglia dell’affidamento diretto, se fosse trattato come servizio.
Dunque, qualcosa non torna. Non si capisce perché un’attività di progettazione di valore superiore a 75.000 euro, se trattata come appalto di servizio debba seguire la regola della competizione in una gara d’appalto, mentre se trattata come sottoscrizione di un rapporto di lavoro subordinato si possa fare a meno del concorso.
È perfettamente possibile e logico che il Recovery punti a internalizzare risorse di esperti tecnici, assumendoli, anche a tempo determinato: non si mette in discussione la scelta di avere tali tecnici in organico, invece di ingaggiarli come prestatori di servizi. Quel che non torna è il sostanziale azzeramento di competitività selettiva connesso col sistema della chiamata diretta.
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