Un paio di giorni fa il Governo ha approvato la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Nadef) che possiamo definire come la cornice in cui il Governo delinea l’attuale scenario economico aggiornato rispetto al Documento di economia e finanza (Def) presentato nel mese di aprile, nonché gli obiettivi programmatici di finanza pubblica per il triennio 2024-2026.
Diciamo subito che, purtroppo, la situazione è peggiorata rispetto alle previsioni di sei mesi fa. Il Pil che era molto positivo nel primo trimestre ha avuto una brusca contrazione nel secondo che non permetterà di raggiungere quell’1% di aumento che il Governo auspicava. La crescita è ora stimata allo 0,8% per il 2024, e rispettivamente all’1,4% per il 2025 e all’1% per il 2026. Sono dati molto inferiori a quelli sperati dovuti a una contrazione della produzione industriale, a un settore turistico che a causa degli spropositati aumenti non ha soddisfatto pienamente le aspettative e a un’elevata inflazione ancora intorno al 5,4% annuo che ha contratto molto i consumi interni. Altri elementi fortemente negativi sono stati la quantificazione del costo dei superbonus edilizi quantificati in oltre 100 miliardi e i continui aumenti del tasso di conto effettuati dalla Bce per cercare di tenere a freno l’inflazione che determineranno solo per il 2024 un aumento rispetto al 2023 di circa 15 miliardi di interessi sull’enorme debito italiano che, di soli interessi, nel 2024 peserà per oltre 75 miliardi.
La logica conseguenza dei dati sopra riportati contenuta nella Nadef è che anche per effetto dei costi dei superbonus edilizi i cui costi avranno effetti anche nei prossimi anni nel 2023 il deficit programmato è del 5,3%, nel 2024 sarà del 4,3% e ancora nel 2025 del 3,6% lontano dal quel 3% previsto nel Patto di stabilità. Anche la discesa del rapporto tra debito e Pil sarà più lenta e valutata in pochi percentuali di punto rispetto alle previsioni di aprile.
In pratica quella che sarà presentata tra meno di un mese sarà una Legge di bilancio a debito e non espansiva. Sarà leggera, probabilmente meno di 30 miliardi con un terzo dei quali destinato alla riconferma per tutto il 2024 del cuneo fiscale per i redditi imponibili fino a 35.000 euro, ci sarà una non completa perequazione delle pensioni che al pari dello scorso anno sarà al 100% solo per redditi fino a quattro volte il trattamento minimo, ci saranno i costi indifferibili per le varie missioni di pace in giro per il mondo, tre miliardi saranno impegnati per i rinnovi dei contratti del pubblico impiego, e qualcosa sarà fatto per la denatalità e la sanità almeno per quanto riguarda la riduzione dei tempi delle liste d’attesa.
In tutto questo scenario mancano le pensioni, capitolo cui l’Esecutivo sembra voglia destinare poco più di un miliardo. Cifra ridicola per impostare qualsiasi discorso di organica riforma previdenziale e che servirà a prorogare per un altro anno le attuali misure rimandando a tempi migliori (ma ci saranno mai?) un intervento strutturale che gli italiani aspettano da oltre un decennio e che rischia di allontanarsi a tempi indefiniti.
Messa nel cassetto Quota 41 per tutti sarà rinnovata Quota 103 con la speranza che coloro che raggiungono i requisiti, incentivati da quel 9,16% che avranno in più in busta paga rimandino il pensionamento così da ridurre i costi per l’Erario, sarà rifinanziata l’Ape sociale sperando di ampliarla leggermente e probabilmente varata la staffetta generazionale per dipendenti a due/tre anni dal pensionamento. Collaborando con giovani appena assunti percepirebbero metà stipendio e metà pensione e godrebbero dei contributi versati per intero. Quanto a Opzione donna, che non ritornerà ante Legge di bilancio 2023, il Governo starebbe studiando una sorta di Ape Sociale Donna a partire dai 61 anni anziché dai 63 previsti o in alternativa anticipare a 58 anni l’Opzione donna con i requisiti attualmente in essere.
Veramente troppo poco e con misure come quella della staffetta generazionale che possono valere per qualche caso singolo, ma che non possono essere significative nei numeri. Speriamo, almeno, che sia inserita qualche norma sulla previdenza dei giovani, sul riscatto agevolato della laurea e ci sia “qualche idea” per incrementare il montante contributivo che determina assegni previdenziali troppo bassi dopo tanti anni di lavoro.
È una sfida che il Governo di Giorgia Meloni, che afferma tra le sue priorità di voler sostenere i redditi bassi, tagliare le tasse e aiutare le famiglie, dovrà assolutamente affrontare l’anno prossimo fin da subito per garantire la tenuta del sistema ed evitare, come da lei stessa affermato, il manifestarsi di una bomba sociale nei prossimi decenni.
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