Ormai ci siamo. Il testo definitivo della Legge di Bilancio è arrivato in Senato dove comincerà l’iter che porterà alla sua approvazione entro la fine di dicembre. Quella presentata dal Governo Meloni è una manovra molto leggera di neanche trenta miliardi, poco espansiva e che non rilancerà l’economia italiana, ma che evidenzia quello che è sotto gli occhi di tutti, vale a dire l’accanimento dell’Esecutivo sulla previdenza, tema fondamentale per la vita dei cittadini e al di là di sterili, stucchevoli e inutili affermazioni la non volontà di superare la rigidità della legge Fornero.
Già la scorsa Legge di bilancio questo Esecutivo aveva peggiorato le norme per l’accesso al pensionamento rispetto al Governo Draghi (incredibile a dirsi, ma un Governo politico, espressione del popolo, riesce perfino a fare più danni sulla previdenza rispetto a un Governo tecnico) creando la Quota 103 in sostituzione della esistente Quota 102. Ricordiamo che nel corrente anno l’accesso al pensionamento è consentito a chi avesse sia i 41 anni di contributi che i 62 anni di età, esautorando di fatto le donne, e non eliminando l’assurda norma di non poter svolgere altre attività eccetto lavoro autonomo occasionale fino a 5.000 euro (così creando lavoro nero a scapito di ulteriori versamenti previdenziali all’erario), inventandosi anche il blocco dell’importo oltre 5 volte il Trattamento minimo (TM), con le logiche conseguenze che nel 2023 meno di ventimila sono le persone che possono accedere al pensionamento con Quota 103.
Quest’anno si fa molto peggio perché per poter affermare che viene mantenuta Quota 103 si inseriscono clausole che se mantenute in sede parlamentare consentiranno a poche migliaia di persone di accedere al pensionamento. Ci sarà, infatti, l’assegno previdenziale che sarà interamente calcolato col sistema contributivo con perdita secca del 15% dell’importo e addirittura vi sarà il blocco dell’importo oltre 4 volte il TM, nonché allungamenti delle finestre mobili che passeranno da tre a sette mesi per i dipendenti privati e addirittura da sei a nove mesi per i dipendenti pubblici. Per finanziare questa Quota 103 penalizzata che consenta a Salvini di poter affermare che la Quota 103 è stata confermata, si interviene sulle future pensioni di circa 700.000 dipendenti pubblici che lavorano negli enti locali, nella sanità, negli asili nido nelle scuole primarie parificate nonché negli uffici giudiziari modificando i coefficienti della parte retributiva con perdite di svariate centinaia di euro mensili sull’assegno previdenziale e mantenendo (come già nell’anno passato) la parziale perequazione delle pensioni che sarà completa solo per assegni fino a 4 volte il TM, scenderà all’85 per trattamenti da 4 a 5 volte il TM e poi crollerà con forti decalage fino ad arrivare ad appena il 22% per pensioni oltre 10 volte il TM.
Su Opzione Donna, che già la scorsa Legge di bilancio aveva fortemente penalizzato riservandone l’accesso solamente a categorie fortemente svantaggiate (caregivers, invalide al 74% e licenziate o dipendenti dove è attivo un tavolo di crisi) e che nel 2023 ha visto crollare di oltre il 90% il numero delle fruitrici, si sperava che, confortati dalle continue affermazioni di esponenti del Governo che asserivano la volontà di intervenire a favore delle donne, ci potesse essere un ripensamento e un ripristino delle norme ante Legge di bilancio 2023 ma, invece, si fa addirittura peggio aumentando di un altro anno l’età di accesso a 61 anni di età (oltre alla finestra mobile di 12 mesi per le dipendenti e 18 per le autonome) oltre ai 35 anni di contributi e continuando a riservarlo alle sole categorie svantaggiate che consentirà il pensionamento nel 2024 a poche centinaia di donne.
Perfino l’istituto dell’Ape sociale subirà un peggioramento, perché sarà aumentata da 63 anni a 63 anni e 5 mesi l’età anagrafica richiesto per potervi accedere e destinato anch’esso solo alle categorie svantaggiate come caregivers, invalidi, licenziati e lavoratori impegnanti in attività gravose oltre al mantenimento dei 30 anni di contributi. Anche per l’Ape sociale si inserisce la norma peggiorativa della possibilità di conseguire redditi solamente fino a 5.000 euro annui derivati da lavoro autonomo occasionale rispetto all’attualità che consente, invece, ai fruitori la possibilità di svolgere lavoro dipendente fino a 8.000 euro annui.
Se consideriamo ancora l’anticipo di due anni dal 2025 del ripristino dell’aumento dell’aspettativa di vita sulle pensioni anticipate e il mancato, anche se promesso, intervento per implementare la previdenza complementare, non sembra che l’attuale Esecutivo voglia andare incontro alle richieste dei lavoratori, ma sia più preoccupato dei prossimi giudizi delle agenzie di rating nonché di non irritare ulteriormente i vertici della Ue (questione Mes?) che da sempre sostengono ed elogiano la Legge Fornero.
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