Era dal 1985, dicono le cronache, che in Italia non si registrava un tasso di inflazione così alto. Il 1985. Il secolo scorso. L’anno in cui Milano a metà gennaio si è fermata per tre giorni sotto una nevicata record. L’anno in cui Francesco Cossiga venne eletto alla presidenza della Repubblica. L’anno dello storico incontro a Ginevra tra Reagan e Gorbaciov che mese le basi per la fine della Guerra fredda.
Negli anni precedenti i prezzi erano peraltro andati al galoppo fino a superare un aumento annuo superiore al 20% nel 1980. Poi era iniziata una lenta discesa fino a mantenere dopo gli anni Novanta una quota attorno al 2% e ancora più bassa nel nuovo millennio, grazie alla moneta unica europea.
Ma allora bisogna chiedersi se abbiamo fatto veramente un salto indietro di quarant’anni oppure se siamo di fronte a uno scenario completamente diverso. In fondo anche l’inflazione degli anni Ottanta, così come ora, era stata lanciata dall’aumento dei prezzi del petrolio a seguito del conflitto arabo-israeliano del 1973.
Anche ora quello che almeno in parte ha fatto da detonatore è stato l’aumento dei prezzi del gas per i tagli di fornitura da parte della Russia dopo l’aggressione all’Ucraina e le sanzioni occidentali.
Ma non è tutto. La corsa dei prezzi era iniziata negli Stati Uniti già lo scorso anno sull’onda della robusta ripresa economica dopo i mesi della pandemia. Una ripresa che anche l’Europa è riuscita ad agganciare, ma che si è intrecciata con i nodi determinati dalle scelte di politica ambientale e di transizione tecnologica.
Lo dimostra con chiarezza di analisi Gianclaudio Torlizzi, giornalista e analista del mercato delle materie prime, nel libro “Materia rara. Come la pandemia e il green deal hanno stravolto il mercato delle materie prime” (editore Guerini e Associati, pagine 170, 19,50 euro). Un libro scritto e pubblicato prima della guerra in Ucraina e che proprio per questo costituisce una testimonianza concreta ed efficace dei nodi strutturali che stanno alla base dell’attuale andamento dei prezzi.
La tesi di Torlizzi è che siamo di fronte a cambiamenti strutturali, determinati anche dalle politiche ambientali, che non si può sperare siano affrontati e avviati a soluzione con le tradizionali politiche monetarie. “Pensare di affrontare il rialzo dell’inflazione con politiche monetarie restrittive – scrive Torlizzi – rischia di non produrre alcun effetto se non quello di una recessione. Un’alternativa più valida appare quella di perseguire politiche di deregulation che incentivino le imprese a incrementare la capacità produttiva e soddisfare così la domanda”.
Una tesi su cui, anche sul fronte italiano, appare necessario riflettere. Nel momento in cui si parla sempre più di immettere denaro, magari facendo nuovo debito, per limitare gli effetti negativi dell’inflazione su famiglie e imprese, non si presta sufficiente attenzione alla possibilità di raffreddare i costi e aumentare la produttività. Restando con i piedi per terra.
Per costruire una nuova centrale nucleare non basterebbero dieci anni, per aumentare la produzione di energia elettrica con il fotovoltaico bastano pochi mesi, sciogliendo i nodi della burocrazia e delle leggi sbagliate.
Un esempio di leggi sbagliate? Il superbonus del 110%, che è costato (per ora) 40 miliardi per l’efficientamento energetico di meno dell’1% degli edifici con un risparmio complessivo del tutto marginale sui consumi energetici.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI