Il patrimonio genetico della biodiversità marina è tanto sconosciuto quanto ambìto dall’industria, soprattutto nel settore sanitario, con le aziende e gli istituti di ricerca che depositano ogni anno tra i 300 e i 500 brevetti all’anno relativi alle risorse naturali marine, secondo uno studio pubblicato nel 2018 sulla rivista “Science Advances”. Ne dà notizia il quotidiano francese “La Croix”, che spiega come alcune di queste risorse siano raccolte in acque internazionali, non sottoposte ad alcuna giurisdizione. La questione del libero accesso è al centro dei negoziati per un trattato sull’alto mare tra i Paesi Onu, che riprendono da oggi a New York.
Il divario è soprattutto tra i Paesi del Nord e del Sud. Fin dall’inizio dei negoziati, nel 2006, questi ultimi hanno sostenuto la necessità di riconoscere le risorse genetiche marine come ‘patrimonio comune dell’umanità’, quadro giuridico già applicato ai fondali marini e alle loro risorse minerarie, stabilito negli anni Ottanta. Secondo lo studio pubblicato su “Science Advances”, il 98% degli attori che hanno depositato brevetti è infatti concentrato in dieci Paesi ricchi (Stati Uniti, Giappone, Israele, Canada e alcuni Paesi europei, tra cui Francia e Germania).
RISORSE NATURALI MARINE: ECCO PERCHÉ SONO PREZIOSE
Ma da dove deriva un così marcato interesse per le profondità oceaniche e le risorse naturali marine? Su “La Croix”, il biologo Gilles Boeuf, professore all’Università della Sorbona, ha detto: “Alcuni animali hanno sviluppato sistemi di difesa molto specifici, come le cosiddette specie sessili, animali che rimangono immobili per tutta la vita, come i coralli. Troviamo anche organismi adattati a condizioni estreme, come gli enzimi in grado di resistere a temperature di oltre 100°C”.
In un’audizione al Senato nel 2022, il direttore del dipartimento risorse fisiche ed ecosistemi dei fondali marini dell’Ifremer (l’Istituto francese del mare), Jean-Marc Daniel, ha spiegato che “il 10% dei test PCR è costituito da molecole estratte da aree situate sul fondo del mare a 1.700 o 1.800 metri di profondità e non si degradano alle alte temperature”.