Roma. Il preside dell’Istituto Comprensivo Giuseppe Garibaldi di Setteville di Guidonia, al termine di lavori di manutenzione ordinaria della scuola, ha deciso di non rimettere i crocifissi nelle aule, appellandosi alla sua funzione di garante della laicità dello Stato e come forma di rispetto verso le altre sensibilità religiose. Subito scoppia la polemica e il primo a parlare è proprio il sindaco di Guidonia Montecelio, Eligio Rubeis: «Pur nel rispetto dell’autonomia del dirigente scolastico di decidere o meno se esporre il crocifisso nelle aule, non posso essere d’accordo con la scelta del preside di negare agli alunni e alle famiglie la presenza di un simbolo che incarna la nostra identità culturale, e non solo religiosa. Si tratta di una decisione inammissibile», ha commentato il primo cittadino. IlSussidiario.net ha chiesto un parere a Francesco D’Agostino, docente di Filosofia del diritto nell’Università di Roma Tor Vergata.
Come mai i simboli religiosi sono destinati a dividere e suscitare sempre polemiche?
In sé e per sé tutti i simboli hanno una doppia valenza. In primo luogo alludono a ciò che sarebbe troppo complesso, e in qualche caso impossibile, esporre in altro modo: riassumono credenze religiose, come appunto il crocifisso, o esprimono interi universi valoriali, come ad esempio è possibile fare esibendo il cuore come simbolo dell’amore. Accanto a questa funzione i simboli ne possiedono un’altra, quella di connotare e circoscrivere un’identità, che può essere militare, come nel caso delle aquile dei legionari romani o per l’appunto religiosa come la croce. Le identità fanno riferimento ad appartenenze, che il più delle volte sono circoscritte e reciprocamente conflittuali, come nel caso plurisecolare della contrapposizione della croce cristiana alla mezzaluna islamica. Se si enfatizza questa seconda valenza dei simboli religiosi, è evidente che essi sono funzionali al conflitto tra le diverse confessioni religiose e che i simboli delle religioni dominanti tendono a cancellare la presenza pubblica dei simboli delle religioni minoritarie (o, peggio ancora, delle religioni sconfitte). Però nella modernità il dialogo tra le religioni sta vistosamente mutando questo scenario: a fronte della crescente incredulità le religioni possono scoprirsi alleate tra loro, nel loro comune operare perché gli uomini siano rivolti verso Dio. Si può quindi ragionevolmente ipotizzare che la valenza conflittuale dei simboli religiosi sia in un fase regressiva e che al potenziamento di tale fase debbano cooperare tutti gli uomini di buona volontà, credenti e non credenti.
Nelle polemiche che hanno per oggetto il crocifisso pesa di più la secolarizzazione crescente o la rappresentanza di altre culture?
La secolarizzazione, sia come fenomeno culturale che come termine, possiede una forte ambiguità. Con secolarizzazione possiamo alludere ad una dinamica sociologica tipicamente occidentale, quella che fa riferimento alla crisi del monoteismo cristiano ecclesialmente istituzionalizzato. In un secondo senso, la secolarizzazione è una dinamica culturale volta a demistificare la dimensione del “religioso”, come culturalmente antiquata e socialmente nociva: ma si tratta di una dinamica, per quanto vistosa, teoreticamente marginale. Solo in questo secondo senso la secolarizzazione può essere ostile al crocifisso. Nelle culture extra-europee (o comunque in quella che non sono “europeizzate”: si pensi all’India o ai paesi islamici) il fenomeno della secolarizzazione non è percepibile. L’esibizione dei simboli religiosi può andare incontro a difficoltà, solo quando la compattezza religiosa di uno specifico popolo viene a soffrire di complessi identitari, e questo spiega perché le piccolissime comunità cristiane esistenti nei paesi islamici non sono mai state oggetto di persecuzione, se non in tempi recenti e in contesti politici particolari.
Secondo lei c’è un peso crescente della laicità cosiddetta “negativa” o fa solo notizia?
La laicità “negativa” è un’ideologia: quella che ritiene che un sistema sociale moderno non debba lasciare alcuno spazio pubblico alle religioni. E’ una pretesa socialmente impraticabile e politicamente inaccettabile. E’ una pretesa che in Italia, per di più, è anche costituzionalmente fragile, perché la Costituzione repubblicana appare, come è stato efficacemente detto, “amica delle religioni” e priva di qualsivoglia ostilità nei loro confronti.
Che peso ha la recente sentenza della Corte europea sul caso Lautsi, che sul crocifisso ha dato ragione all’Italia?
E’ una sentenza di grande sapienza giuridica. I giudici europei hanno rilevato che il crocifisso è un “simbolo passivo”: non aggredisce, in altre parole, i credenti in altre religioni, imponendo loro di sottomettersi a pratiche di proselitismo. Il crocifisso è il simbolo religioso della stragrande maggioranza degli italiani e la sua esibizione non ha alcuna valenza polemica verso chi non sia cristiano: si limita a rammentare una verità sociologico-culturale e cioè che l’identità italiana è intrisa di cristianesimo. Era per questa ragione che un grande rappresentante del laicismo in Italia, come Benedetto Croce, era favorevole all’istruzione religiosa obbligatoria dei bambini nelle scuole elementari: dovendo tali scuole formare gli “italiani”, era giusto che li formassero nella tradizione storica del paese.
In questi casi ci si trova sempre davanti ad una argomentazione ricorrente da parte di chi vuol togliere il crocifisso (o non rimetterlo): “…altrimenti dovremmo tener conto dei simboli anche di altre religioni”. Lei cosa risponde?
Non vedo nulla di scandaloso nell’esibire i simboli di altre religioni, a condizione che essi siano, come il crocifisso, “simboli passivi” e che rappresentino la sensibilità religiosa, ancorché minoritaria, di cittadini italiani. Altrimenti corriamo il rischio di cadere in quegli atteggiamenti di grottesco e astratto multiculturalismo, che si esprimono nell’auspicio che i ragazzi nelle scuole italiane debbano studiare accanto alla letteratura italiana quella cinese o iraniana e accanto all’arte classica quella delle culture precolombiane o africane. E’ ovvio che le letterature “altre” e le manifestazioni artistiche “altre” hanno un’immensa rilevanza, ma non sul piano di una formazione scolastica di base che deve essere fornita a chi studia in Italia come primario servizio pubblico dallo Stato italiano.
In che modo è possibile rispettare tutte le religioni senza creare polemiche?
E’ indubbio che la nostra identità storica muta nel tempo. Ed è altresì indubbio che statisticamente il numero dei cattolici è diminuito negli ultimi decenni: ma si osservi che tale diminuzione è rilevabile solo perché statisticamente oggi è più facile dissociarsi dalla Chiesa di quanto non fosse in passato, quando ad esempio la religione cattolica aveva il carattere di “religione di Stato”. Io sono addirittura convinto che il passare degli anni mostra come si raffini la fede del popolo italiano: un elemento, questo, che statisticamente è di difficile rilevazione. Quanto a un rispetto non polemico delle religioni, esso può essere ottenuto, come dicevo all’inizio, solo convincendo tutti gli uomini di buona volontà, credenti e non credenti, che la religione è un’esperienza umana profonda, che – al di là di tanti errori e di tante violenze che si sono manifestate nella storia – nel suo principio migliora gli esseri umani e garantisce maggiore solidarietà al corpo sociale. Già questo sarebbe sufficiente per dare una base concreta a quelle forme di alleanza interreligiosa di cui si parla da tempo.