La complessità del personaggio che è Caravaggio è probabilmente fomentata dall’aura di leggenda che avvolge l’uomo e l’artista. E se è vero che è impossibile prescindere dall’artista nel giudizio della sua opera, allora per la produzione caravaggesca si deve parlare della più contaminata nella storia dell’arte.
Nell’ambito delle iniziative realizzate per il IV Centenario della morte di Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610), l’Archivio di Stato di Roma dall’11 febbraio al 15 maggio 2011 promuove nella sede di Sant’Ivo alla Sapienza una mostra che per la prima volta offre un approccio scientifico al caso Caravaggio, basata su documenti originali, restaurati e conservati presso lo stesso Archivio, che svelano fatti salienti della vicenda umana e artistica del grande pittore e aspetti finora sconosciuti legati all’ambiente intellettuale, culturale e artistico frequentato dal maestro lombardo nel periodo vissuto a Roma.
«Caravaggio è un personaggio conosciuto in tutti i modi, di cui troppo è stato detto». Racconta Daniele Balduzzi, ricercatore presso l’Archivio di stato, curatore dei documenti della parte giudiziaria della mostra: «Ci ha mosso la voglia di vedere se la storia di Caravaggio era tramandata da fonti secondarie, degne di rispetto. All’Archivio di Stato sono conservate fonti primarie, ma spesso i documenti noti sono poco contestualizzati per colpa della contaminazione con il personaggio Caravaggio, quindi si incorre nella mancanza di neutralità scientifica. Protagonisti della mostra sono i documenti, che dialogano con i quadri: i quadri sono un supporto pittorico, tant’è che di Caravaggio ce ne sono solo due. Nell’ottica della veridicità storica, è quasi più utile portare opere di contemporanei al Merisi, proprio per riuscire a contestualizzarlo. È infatti necessario fare un quadro definito della documentazione sulla vita dell’artista con occhi diversi da quelli degli storici dell’arte.
«Ecco come sono venuti fuori gli inediti. Spy story? Non direi. È un viaggio, una scoperta, quasi un’odissea. Non c’è nulla di romantico, come invece viene tracciato Caravaggio e come viene pensata l’epoca. È più come Indiana Jones. Seguendo il filone dei documenti inediti, tutto ha assunto valore e peso specifico. L’impressiono finale è di vedere l’artista come uomo dei suoi tempi. Era irruento? Molto meno di quanto si pensi!».
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Orietta verdi, curatrice della mostra, sottolinea la vera portata della scoperta dei documenti a livello della storia dell’arte sulla figura dell’artista più importante del 17esimo secolo: «Importanza enorme: da oggi tutti i libri diventano vecchi. Nessun documento ad esempio testimoniava prima d’oggi Caravaggio a Roma prima del 1595! Adesso si tratta di far collimare le notizie biografiche con i documenti inediti. Dalla nostra scoperta risulta un vuoto di tre anni che oggi bisogna riempire, perché Caravaggio era presente a Roma a 25 anni, quindi come pittore già finito e non inesperto. Gli storici dell’arte devono rivedere le iuvenilia (come il Bacchino malato), dove e quando sono stati fatti. Necessita una riflessione sulla tecnica che deriva dalle scoperte, recanti una consapevolezza profonda nel maestro della propria arte già al suo arrivo nella capitale».
La ricerca ha quindi portato alla luce un nuovo Caravaggio, non decontestualizzato dall’ambiente in cui stava, anzi profondamente intriso della cultura del mondo in cui viveva. Ed ora i documenti emersi sono la punta di un iceberg che può cambiare la storia dell’arte e cultura che si poggia sull’eccentrica ma misteriosa personalità di Michelangelo Merisi da Caravaggio.
(Caterina Gatti)