Proprio in questi giorni Roma si prepara ad uno dei tanti grandi eventi che periodicamente avvengono nella nostra città, sia in termini di folla che giunge da tutto il mondo, sia in termini di dispiegamento di mezzi di sicurezza e di volontariato: l’occasione è la Beatificazione del 1° maggio di Giovanni Paolo II.
Ma i romani sono abituati a vivere grandi emozioni, così come sono abituati a ragionare con la filosofia del “tutto passa e tutto si dimentica”.
Eppure, a pensarci bene, questo evento ha almeno due significati assolutamente unici.
Quello di vedere sugli altari un Papa, contemporaneo alla nostra epoca, che avevamo visto celebrare le Messe dal vivo, fino a pochi anni fa, fatto storico che non so a quanti di noi potrà nuovamente capitare.
E l’altro aspetto unico è quello che, a partire da questo un avvenimento, si può cogliere una volta per tutte l’occasione per riflettere su come vediamo -o vorremmo vedere noi- la nostra città, tutti i giorni, o come vorremmo essere guardati nel mondo.
Per intenderci, Los Angeles è detta la città degli angeli ma ormai è simbolicamente l’opposto.
Parigi è detta la Ville Lumiere, ma la grandeur francese l’ha resa bella, sofisticata, ma piuttosto anonima.
Barcellona potrebbe essere vista come il luogo della Sagrada Famiglia, ma gli stessi catalani fanno a gara per dare una visione laica della città, Berlino è una sommatoria di avvenimenti e di architetture che cercano di sconfiggere il passato.
Sappiamo anche che all’estero ci guardano attraverso i monumenti dell’antica Roma, il Colosseo e i Fori Imperiali, o per essere la sede dello Stato Vaticano e per la grandiosità di san Pietro, o per le architetture più antiche che non moderne, come il Barocco del Bernini, Fontana di Trevi, piuttosto che per il Museo di Zaha Hadid e l’Auditorium di Renzo Piano.
Ma Roma oggi, cosa potrebbe essere?
Non si tratta qui di ragionare su argomenti sociologici o urbanistici, tra ingegneri, architetti ed esperti, ma piuttosto di rispondere alla domanda, senza perdere nulla di tutto quello che già è accaduto negli anni.
Certo che ognuno vede con i suoi occhi, ma Roma, a partire dalla beatificazione, potremmo presentarla al mondo con una sua immagine specifica che consista nel tempo, e che non passi dopo qualche giorno, proprio perché abituati nei secoli a papi e regnanti, a statisti e a santi.
Di sicuro occorre lavorare negli anni ed investire molto per dare una immagine stabile, perché Roma è abituata a tutto, accoglie tutti, ma non fa di questa sua umanità la caratteristica più diffusa tra la gente, potremmo dire il suo slogan di presentabilità e vivibilità.
Leggiamo qui con piacere dal sito del Comune: “In questi giorni importanti la città cercherà di mostrare il suo aspetto migliore. Roma, ancora una volta, saprà essere la Capitale dell’accoglienza. Papa Wojtyla era ed è un amico non solo dei credenti, ma di tutta Roma… l’accoglienza è per la Città eterna una vocazione naturale, un primato che rivendica da sempre e che affonda le radici nella sua storia millenaria”.
A partire allora dall’accoglienza, che sappiamo non nasce da un fatto organizzativo, ma da un’educazione, ci domandiamo perché Roma non può divenire in pianta stabile ed in modo diffuso, la città della carità, delle persone che si impegnano per rispondere ai bisogni del sociale, un laboratorio per educare i giovani secondo un logica di paternità sia in famiglia, sia nelle imprese, un laboratorio per il sostegno al lavoro?
In definitiva la città di S. Pietro e di S. Paolo, ora di Giovanni Paolo II, perché non può essere la città della sussidiarietà, della carità, la città delle opere?
Non dimentichiamo che la crisi di bilancio che esiste oggi per Roma, è sempre un occasione unica per ripensare il modello futuro! Per ripianare un bilancio c’è bisogno di investimenti e di progetti e non si può dire che il Comune non abbia lavorato in tal senso, vedi il Progetto Millennium, ed in particolare “Roma, città policentrica e solidale”.
Ma va detto che i tanti cittadini ed associazioni che nella nostra città vivono ed operano nel sociale, sia nel mondo cattolico, che nel mondo laico, agiscono in modo discreto, perché il sociale, la carità e la sussidiarietà non fanno notizia nel mondo.
Spesso, solo tra addetti ai lavori delle associazione o nei quartieri, si conosce chi opera a costruire un tessuto sociale più sussidiario, dal sostegno alle famiglie, ai disabili, agli immigrati, ai giovani e adulti alla ricerca del lavoro.
Ad esempio nei giorni passati, l’associazione Cilla ha organizzato a Roma, un concerto molto partecipato, con il cantautore napoletano Alfredo Minnucci, per la raccolta fondi a sostegno delle strutture di accoglienza di parenti di malati fuori sede, ospedalizzati nella nostra città.
Così come non fa notizia che esiste in tante città d’Italia ed anche Roma, una Scuola per Opere di Carità che si interroga sui motivi che spingono le persone a condividere i bisogni e a costruire luoghi di reale accoglienza. Questa scuola va a visitare le opere sul campo, anche all’estero.
Proprio nel mese di Maggio, in occasione della Festa della Madonna di Fatima, un gruppo di amici responsabili della CdO, Opere sociali andrà a visitare l’Associazione Vale de Acór di Padre Pedro Quintela a Lisbona, una significativa comunità di recupero per tossicodipendenti
Sarebbe auspicabile che un giorno, da tutto il mondo, potessero dall’estero venire a Roma a visitare, oltre ai monumenti, anche i luoghi del sociale e della carità, i luoghi dove l’uomo, nel suo impeto di diffondere il bene comune, mette a disposizione i propri talenti per intraprendere un’opera, profit o non profit che sia.