Il vescovo di Roma spiega la cattolicità. Non male come inizio di una catechesi bagnata dalla pioggia, stringente per chi è sotto l’acqua da ore in attesa di ascoltare il Papa e la sua riflessione su quel “kath’olòn” che da secoli interroga la storia e i teologi. “Secondo il tutto”, la totalità applicata alla Chiesa. L’ennesima pretesa della Chiesa Apostolica Romana oppure l’opportunità per capire meglio la natura della cattolicità? Bergoglio scioglie, nel suo narrare semplice di fede e realtà, tutta la complessità dell’espressione greca, riportando l’attenzione su i soliti tre punti essenziali. Così davanti ad una piazza bagnata e ombrata dalle nuvole eppure straordinariamente simbolica nella sua vastità colonnata, spiega che la Chiesa è cattolica perché è “la casa in cui viene annunciata tutta intera la fede”.
Nella Chiesa, continua Francesco, ognuno di noi trova quanto è necessario “per credere, per vivere da cristiani, per diventare santi, per camminare in ogni luogo e in ogni epoca”. Interessante: il Papa in pratica dice che se siamo nella comunità ecclesiale non abbiamo bisogno di altro. Siamo a cavallo. “Possiamo ascoltare la Parola di Dio” e poi “incontrare il Signore nei sacramenti”, “vivere la comunione e l’amore che viene da Dio”. Siamo nella stessa condizione dell’inconsapevole figlio maggiore della parabola del Figliol Prodigo: tutto ciò che è del Padre è nostro. Perché siamo in famiglia. La cattolicità come una famiglia in cui tutto è donato. Secondo punto. La Chiesa è cattolica perché è universale, “è sparsa in ogni parte del mondo e annuncia il Vangelo ad ogni uomo e ad ogni donna”. E questa che parrebbe un’ovvietà non è liscia per niente. Quanti di noi hanno la consapevolezza di essere parte di qualcosa che coinvolge anche un uomo o una donna di Gaborone in Botswana, o un sacerdote a Popondetta in Papua Nuova Guinea o ancora un catechista a Coihaique in Cile? (giusto per citare tre località improbabili nell’esperienza di un cattolico europeo medio).
Ha fatto bene Francesco a ricordare che cattolicità vuol dire totalità del genere umano, che non si riferisce solo “all’ombra del nostro campanile, ma abbraccia una vastità di genti, di popoli che professano la stessa fede”, che mangiano lo stesso corpo di Cristo. Una sottolineatura che implica la responsabilità della missione, l’urgenza dell’uscire che sta tanto a cuore al Papa argentino arrivato dalla fine del mondo. E infine il terzo punto. E qui ho stanato Francesco. E’ un copione. Per spiegare la cattolicità usa come metafora un’immagine già sfruttata dal suo predecessore: quella della sinfonia.
La chiesa come “casa dell’armonia”, dove “unità e diversità sanno coniugarsi insieme per essere ricchezza”. Una grande orchestra in cui c’è varietà, in cui la bellezza viene dalle diversità dei componenti che si fondono, evitando il conflitto.
Benedetto XVI aveva usato più o meno le stesse parole il 28 febbraio del 2013, quando salutando i cardinali nella Sala Clementina nell’ultimo giorno del suo magistero, aveva parlato del collegio cardinalizio e della Chiesa come di “un’orchestra dove le diversità concorrono a una superiore e concorde armonia”. Quel giorno tra i cardinali c’era anche Bergoglio. La cosa gli deve essere rimasta in testa. Oppure semplicemente gli ultimi due pontefici amano le stesse cose. La musica sinfonica, le metafore popolari, l’armonia e la Chiesa. In giorni in cui si abusa della parola “rivoluzione” conforta verificare che le parole di Romano Guardini citate in quell’ultimo discorso da Benedetto siano più che mai vere: “La Chiesa non è un’istituzione escogitata e una costruzione degli uomini, ma una realtà vivente, che vive il tempo in divenire, trasformandosi ma in cui la natura è sempre la stessa, e il suo cuore è Cristo».