Non voglio addentrarmi nei dettagli di quello che è accaduto. Non è neanche cronaca ma solo tristezza. Scrivo solo per ricordarci che le persone, i loro affetti, i loro figli, non dovrebbero essere mai usati dai politici. Mai. Rappresentati e protetti, sì: usati mai.
Tutto comincia domenica quando il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, commenta il messaggio di un utente twitter che aveva postato l’immagine di Fedez con il cartello: «#Stopinvasione della Lega Nord! Io accolgo migranti in casa. Gratis!» Aveva preso le difese del rapper una sua giovane fan e allora il vicepresidente del Senato — è bene ricordare di chi stiamo parlando — aveva raddoppiato con il tweet «Meno droga, più dieta, messa male».
Chi oggi non ha letto di almeno un ragazzo o una ragazza che si sono uccisi per un post al veleno sul loro aspetto? Quanti ragazzi e ragazze sono vittime del cyberbullismo? Fedez lo sa, a quanto pare, e ha risposto per le rime e da persona responsabile. Gasparri, invece, a quanto pare non lo sa. Ora, però, ha ottenuto che si parli di lui, si retwitti di lui, si facciano hashtag su di lui. Possibile che un uomo adulto rivestito di una carica istituzionale così importante, non sappia trattenere il ditino e ancor prima il pensiero, e invii un tale insulto ad una ragazza? Possibile, sì, e anzi, purtroppo, io credo sia peggio. Io non credo volesse insultare la ragazza. Credo volesse semplicemente rimettere il suo nome nel giro delle tendenze di twitter. Nel giro dei retweet.
Nel giro, insomma. Il vice presidente del Senato non è nuovo alla politica e ai suoi meccanismi, allora perché lo fa? per far parlare di sé. Lo dice per esistere. Perché, dai tempi di Oscar Wilde parlare male è pur sempre parlare. È in questi giochi di parole che sono schizzi di fango, che i politici perdono la credibilità.
Noi, da sempre, siamo quello che pensiamo, diciamo, scriviamo, firmiamo e, ora, anche che cinguettiamo. Quello che comunichiamo di noi è lì, tra quelle parole, e le persone che le ascoltano leggono non le nostre parole ma chi siamo noi. La comunicazione non è solo informazione ma comunione, non l’hanno ancora imparato i nostri politici? Bisogna sapere che le parole sono pericolose perché escono dal cuore e ne portano il segno, lo rendono visibile. Se lancio parole che uccidono, semino morte. Oppure, come il suo collega Marino, se dico parole vuote, se faccio atti vuoti, comunico chi sono: il vuoto. Se comunico parole-sasso faccio morti e feriti, se firmo con la mia firma di sindaco registri che tali non sono, che non cambiano la realtà se non quella delle prime pagine della mia personale rassegna stampa, dico chi sono. Marino, se comunica vuoto avrà una scheda vuota.
Dice una coppia di donne omosessuali: “Siamo venute con i nostri figli. È una giornata importantissima, un gesto politico importantissimo, di civiltà e di rispetto per le nostre famiglie. Un riconoscimento pubblico”.
No, non è così. È una “giornata importantissima”? Perché con il tuo nome hai firmato un documento-spot pubblicitario, che cambia solo le pagine dei giornali? È una giornata importantissima? Sì, ma per il sindaco Marino. È un “gesto politico importantissimo”? No. È solo pubblicità. “Politica” è rispetto dei cittadini, della civitas, delle norme che proteggono gli uni e regolano l’altra. Questo atto di Marino non è la sottoscrizione di un atto politico, ma l’autografo ad un foglio che ha fatto da pubblicità a lui, alla sua persona, alla sua figura politica.
Il che è molto diverso dal rispetto dovuto alle persone e ai bambini che sono andati in Campidoglio. Molto diverso. Gli atti politici, i riconoscimenti pubblici, non si fanno con la pelle delle persone, sulla pelle delle storie familiari e personali delle persone. Gli atti politici si fanno nelle sedi politiche con firme che esprimono responsabilità personale e autorità della carica. Nulla di questo presente l’altro giorno in Campidoglio tra poesie di Neruda e lucciconi.
Cercasi politici che compiano gesti degni di un politico.