Scandalo anche in curia, titolava la scorsa settimana un noto settimanale italiano, mettendo in copertina l’ennesima foto di Francesco, con la variante dell’espressione sconsolata e dimessa. La notizia esclusiva, riportata con enfasi sospetta e accostata alle bufere di tangenti e corruzioni che hanno investito mezza Italia, è che una diocesi di frontiera, incastonata nella non sempre limpida Sicilia, rischia la bancarotta per un buco milionario.
6 milioni, per l’esattezza, l’ammontare del debito, più lo scandalo delle casse vuote, e un vescovo, addirittura, chiamato a rapporto dal Pontefice per la voragine finanziaria creata in 7 anni di mandato. Un vescovo scialacquone e sconsiderato che ha sperperato i soldi della comunità per lussi personali, macchine e viaggi faraonici? Niente affatto. Dal resoconto dello stesso giornalista, a cui una fonte interessata ha fatto pervenire il bilancio annuale, per altro pubblico, della diocesi di Mazara del Vallo, si scopre che il presunto ammanco non è che l’importo di due mutui contratti per costruire ben tre nuove chiese sul territorio.
Insomma, nient’altro che un investimento immobiliare, se così lo si vuole chiamare, la costruzione di tre case per un tale, Gesù, e la sua famiglia. La notizia mi ha infastidito, e non è mera apologetica chiedere perché nel paese in cui il tasso di indebitamento è tra i più alti d’Europa ci si dovrebbe scandalizzare se una comunità ecclesiale contrae un debito per le sue necessità ordinarie e primarie: vale a dire pregare e ritrovarsi nel nome di Dio. Nonostante la chiara intenzione di dipingere a tinte fosche la situazione, calcando i toni apocalittici e allarmistici, dallo stesso articolo si comprende che la vicenda, nel suo corso, non ha nulla di diverso da quelle in cui si trovano invischiate centinaia di migliaia di famiglie italiane. In pratica, come direbbe mia nonna, si è fatto il passo più lungo della gamba, e soprattutto si è peccato in fiducia o, se si vuole, si è difettato in prudenza.
Gli elementi così come appaiono: un vescovo, mons. Domenico Mogavero, 67 anni, esperto in diritto canonico, con una bella gavetta romana come sottosegretario della Cei, che ha il “vizio” di dire sempre come la pensa. Una diocesi con un’appendice complicata come l’isola di Pantelleria, dove oltre al passito e ai capperi, si produce anche molta solitudine e un bel po’ di grane. Un economo sprovveduto, sicuramente con poche nozioni di contabilità, diciamo “disinvolto” nel concedere prestiti (anche a se stesso), tale Mons. Franco Caruso. Due banche, Prossima del Gruppo Intesa San Paolo e Unicredit, che vantano crediti nei confronti della diocesi rispettivamente per 3.692.360 e 728.144 euro per mutui stipulati nel 2011.
I fatti: la chiesa di Mazara non ce la fa ad arrivare a fine mese, come centinaia di migliaia di famiglie italiane, non riesce a pagare le rate del mutuo, come centinaia di migliaia di famiglie italiane, non sa come cavarsela, come centinaia di migliaia di famiglie italiane, e ha stretto la cinghia, raschiando il fondo della cassa, come centinaia di migliaia di famiglie italiane. A qualcuno non deve essere andato giù. Ma continuando nell’esposizione dei fatti i mutui, come accennavo, servivano a finanziare la costruzione di tre chiese la cui edificazione era stata decisa dal predecessore di mons. Mogavero.
In particolare sotto accusa sembra il progetto della chiesa Madre di Pantelleria, opera definita “faraonica” dall’estensore dell’articolo, che evidentemente non l’ha mai vista. È un grande tempio che richiama nelle linee e nelle forme i tipici Dammusi dell’isola, un luogo voluto in maniera spasmodica dalla popolazione, che non ha altre strutture di aggregazione sociale e che lamenta un isolamento a volte drammatico.
Pantelleria non è solo il cumolo di rocce in mezzo al Mediterraneo dalla bellezza selvaggia, rifugio di attori, calciatori e veline, è anche la periferia d’Italia, l’ultimo avamposto prima dell’Africa islamizzata. È una terra che soffre la propria emarginazione geografica, popolata di anziani incapaci di abbandonare la propria terra, di pochi abitanti schiaffeggiati dal vento e allenati a centellinare l’acqua. Non sorprende che abbiano voluto fare le cose in grande, che abbiano desiderato una bella, imponente, immensa cattedrale, per ritrovarsi in un ideale comune, come le comunità medievali. Si è partiti con una cifra e si è arrivati a spendere il doppio. Come succede a molti. E c’è chi si è tirato indietro, come l’amministrazione comunale che aveva promesso di occuparsi degli arredi liturgici per poi dichiarare l’impossibilità a farlo.
Ma non c’è solo questo. Dalla dovizia con cui sono state riportate le cifre, sappiamo che il seminario della diocesi ha un debito di 17mila euro, mentre si spendono in fotocopie più di 11mila euro. Ma la gente dove vive? Ha mai frequentato non dico gli uffici di una diocesi ma un consiglio pastorale? Che un seminario abbia dei debiti mi sembra ovvio: dove li prendono i fondi necessari a sostenere negli studi 5 o 6 ragazzi? Quanti di voi mantengono un figlio a scuola? Quanto vi costa? E poi quanti ciclostilati si distribuiscono nella parrocchie? Quanti bollettini e avvisi? Quanta carta finisce tra le mani di fedeli e avventori di chiese e conventi? E dove credete che le prendano le risme di carta? Direttamente dagli alberi? Certo anch’io spererei nell’invio virtuale di notizie e avvisi su tablet e smartphone, ma dubito che questo possa avvenire a breve.
Certo non a Mazara del Vallo, dove l’indice di informatizzazione non è tra i più alti di Italia. Posso solo raccontare ciò che ho visto con i miei occhi: una comunità guidata con passione da un vescovo che butta sempre il cuore oltre l’ostacolo, capace di costruire ponti sul Mediterraneo e di essere pastore e punto di riferimento anche dei tantissimi immigrati musulmani che hanno fatto di quell’angolo di Sicilia il loro approdo.
E poi sacerdoti e religiosi infaticabili, prossimi alla gente, vulcanici e creativi nella lotta alla rassegnazione e al disfattismo del mezzogiorno d’Italia, generatori di opere che sono diventate punto di riferimento anche per altre chiese italiane. Insomma uomini che non sapranno fare i conti, ma che hanno osato. Gente che si sporca le mani. Che sbaglia, forse. Ma che agisce. E quanto all’incontro tra mons. Mogavero e Papa Francesco, notizia: era già fissata da tempo, addirittura dal mese di marzo, non aveva nulla a che fare con la situazione economica della diocesi e forse ciò che si sono detti sarebbe davvero interessante da raccontare.