La Corte Costituzionale della Romania ha respinto il ricorso del candidato Sebastian Popescu confermando la regolarità delle elezioni del 4 maggio e aprendo la strada a uno dei ballottaggi più divisivi della storia europea recente: il 18 maggio, gli elettori sceglieranno tra George Simion – leader dell’estrema destra nazionalista dell’AUR (Alleanza per l’Unione dei Romeni) – e Nicușor Dan – indipendente filo-occidentale e sindaco di Bucarest – un duello che riflette le fratture profonde di un Paese sospeso tra nostalgia sovranista e ambizioni europee.
Tra paure identitarie e desiderio di integrazione, si tratta di una scelta che va ben oltre la semplice alternanza politica, con Simion – con il 40,96% dei voti ottenuti al primo turno – che incarna la rabbia di un elettorato rurale e conservatore, deluso dalle promesse non mantenute della transizione post-comunista: il suo programma, contrassegnato dallla retorica anti-Ue, anti-immigrazione e rivendicazioni sulla Grande Romania, riecheggia i toni di Viktor Orbán e Marine Le Pen.
Dan invece – fermo al 20,99% – rappresenta invece l’ala liberale e urbana, sostenuta da giovani e ceti medi che vedono nell’Europa un baluardo contro la corruzione, il clientelismo e il declino economico; la Corte, respingendo le accuse di squilibrio mediatico, ha chiuso la porta a polemiche simili al caso Călin Georgescu del 2024 quando presunte infiltrazioni e irregolarità fecero annullare il voto.
Romania e l’ascesa dell’estrema destra: Simion punta a scardinare gli equilibri Ue
Se Simion dovesse vincere – un’ipotesi non più così remota – la Romania diventerebbe il primo Paese dell’Est Europa a portare un partito ultranazionalista alla massima carica istituzionale e gli effetti potrebbero essere dirompenti su Bruxelles; l’AUR – nato nel 2019 come movimento anti-sistema – promette di rinegoziare i fondi Ue, bloccare le politiche migratorie comunitarie, allinearsi a Mosca su temi energetici minacciando di destabilizzare il fronte europeo sulla guerra in Ucraina. Dan – dal canto suo – punta a rilanciare le riforme giudiziarie e ad attrarre investimenti esteri ma fatica a far convergere il voto moderato frammentato tra socialdemocratici e liberali.
Il ballottaggio è anche un test sulla resilienza delle istituzioni romene: Simion – accusato di legami con oligarchi e reti clientelari – ha già annunciato battaglie contro la “lobby LGBTQ+” e per la revisione dei trattati Ue mentre Dan – attivista e matematico noto – propone invece un’agenda tecnocratica – rigorosa e trasparente – ma rischia di essere percepito come elitario dalle periferie impoverite e – intanto – l’ombra dell’astensionismo pesa (al primo turno solo il 48% degli aventi diritto ha votato) segnale di un malessere diffuso e crescente.
Una vittoria di Simion, dunque, rafforzerebbe il fronte euroscettico in vista delle elezioni europee mentre un successo di Dan – contrariamente – manterrebbe la Romania nell’orbita atlantista e nel solco riformatore tracciato dagli ultimi governi; la Corte Costituzionale ha fatto la sua parte, ora è tutto nelle mani degli elettori.