Mentre i venti di guerra continuano a soffiare sull’Ucraina orientale, una dichiarazione dell’amministrazione Trump riecheggia come un’ammissione di realtà geostrategica: “L’adesione di Kiev alla NATO è fuori discussione”. Parole pronunciate da Keith Kellogg – inviato generale USA – che il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha definito “soddisfacenti”, aggiungendo che la posizione americana “coincide con la nostra”.
Per Mosca, l’allargamento dell’Alleanza Atlantica verso est rappresenta una minaccia esistenziale, un tema che affonda le radici nel crollo dell’URSS e nelle promesse – secondo alcuni mai mantenute – di non espansione verso i confini russi: “L’Ucraina nella NATO è una delle cause profonde del conflitto” ha ribadito Peskov, in un rimando alle tensioni esplose con l’annessione della Crimea e la guerra nel Donbass.
La mossa di Trump, seppure non nuova (già nel 2019 definì “inutile” l’ingresso ucraino), segna una frattura con le amministrazioni precedenti – da Bush a Biden – che avevano sostenuto le ambizioni euro-atlantiche di Kiev.
Un cambio di passo che riporta alla memoria il summit di Bucarest, quando la NATO aprì simbolicamente le porte al Paese ucraino e alla Georgia, innescando l’ira di Putin mentre oggi, mentre i carri armati russi avanzano nelle regioni di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson – annesse de facto ma non riconosciute a livello internazionale – il Cremlino trasforma le parole di Washington in una legittimazione implicita delle sue rivendicazioni.
Ucraina senza NATO tra ricatto e negoziato: cosa resta del conflitto
Le condizioni poste da Putin per fermare la guerra – rinuncia alla NATO e ritiro dalle quattro regioni contese – suonano come un ultimatum, ma rivelano anche una possibile via d’uscita: “Senza garanzie di neutralità, la Russia non deporrà le armi” ha avvertito il leader del Cremlino, in un eco delle richieste avanzate prima dell’invasione del 2022.
Ma Kiev continua a respingere qualsiasi trattativa che legittimi l’occupazione, mentre l’Occidente è diviso tra sostegno militare e timori di escalation; la posizione di Trump – se confermata – potrebbe accelerare quindi trattative informali, ma pone dubbi sul futuro della sicurezza europea.
Nel frattempo, la NATO cerca di bilanciare deterrenza e dialogo: il segretario generale Jens Stoltenberg ha ribadito che “le porte restano aperte”, ma ammette che “l’adesione richiede il consenso unanime”. Con l’Ungheria di Orban e la Turchia di Erdogan riluttanti, il percorso di Kiev appare bloccato e resta il nodo di fondo: in un’Europa sempre più militarizzata, può esistere una sicurezza condivisa senza schieramenti contrapposti?