Il 9 maggio, nella Piazza Rossa, Vladimir Putin ha celebrato il Giorno della Vittoria, l’80esimo anniversario della vittoria sovietica sul nazismo, una celebrazione che ha visto la presenza di circa venti leader stranieri fra i quali a Xi Jinping spettava il posto d’onore.
L’incontro fra Xi e Putin è avvenuto in un momento in cui Cina e Russia hanno accumulato un significativo vantaggio strategico e dimostra come il “reverse Kissinger” di Donald Trump, che puntava a separare la Russia dalla Cina, sia decisamente difficile da raggiungere. Le relazioni russo-cinesi, seppure caratterizzate da dinamiche di potere non completamente stabilite, hanno basi molto solide che gli accordi economici recentemente siglati hanno ulteriormente rafforzato.
Benché la Russia si trovi in una posizione di dipendenza dalla tecnologia e dai mercati di sbocco cinesi, Putin ha provato a controbilanciare il rapporto con la Cina puntando a una cooperazione strategica su più livelli. Ma indipendentemente dalla volontà di Putin, è la Cina ad avere una netta posizione di vantaggio rispetto al suo partner.
Al momento, la Cina si trova infatti in una posizione strategicamente vantaggiosa di tipo win-win, potendo sfruttare la Russia come leva per destabilizzare l’ordine internazionale occidentale e al contempo vestendo i panni di mediatore nella guerra in Ucraina, un posizione profondamente ambigua, ma che frutta molti dividenti, soprattutto rispetto al crescente prestigio del governo cinese presso il “Global South” così fortemente rappresentato il 9 maggio a Mosca.
A riguardo, anche l’uso della memoria storica del Giorno della Vittoria non è casuale. Cina e Russia intendono mostrarsi “dalla parte giusta della storia” e Xi Jinping, ricordando che la Seconda guerra mondiale è iniziata in Asia, con la Cina come uno dei principali teatri di conflitto, ha inteso dare maggiore legittimità storica all’attuale assertività geopolitica cinese. Una narrazione che rischia di essere sempre più attrattiva, come dimostra la partecipazione di circa venti leader stranieri, un numero senza precedenti dall’inizio dell’invasione ucraina, che palesa la capacità dell’azione diplomatica russo-cinese di attirare soggetti che intendono sottrarsi all’influenza occidentale.
Fra questi si trovano Paesi membri dei BRICS, diversi leader africani, rappresentanti delle ex repubbliche sovietiche, compreso il premier slovacco Robert Fico, una presenza che dimostra quanto siano grandi le fratture interne all’Unione Europea.
L’ambiguità cinese paga e per questo motivo Pechino non ha alcuna intenzione di cessare il sostegno economico e diplomatico a Mosca. I 26 accordi bilaterali hanno portato i rapporti commerciali e finanziari russo-cinesi a un livello altissimo di interdipendenza e interconnessione, mitigando ancora di più l’impatto delle sanzioni occidentali.
Inoltre, la tecnologia cinese sta diventando sempre più efficiente, come dimostrano i flussi di esportazioni di tecnologie dual-use fondamentali per l’industria militare russa. La Cina ha tratto vantaggi dal protrarsi della guerra, che distoglie l’attenzione americana dall’Indo-Pacifico e aumenta la dipendenza economica e politica della Russia da Pechino. Nonostante l’aver fatto proposte di pace, la Cina non ha realmente fatto pressione per avviare negoziati autentici, preferendo fare della guerra l’occasione per consolidare la sua influenza sul partner russo e sfidare l’egemonia occidentale.
Benché in questa fase la Cina stia guadagnando terreno, c’è da chiedersi se il nuovo ordine multilaterale, a cui la diplomazia russo-cinese dichiara di puntare, possa trovare il suo fondamento su accordi bilaterali che in realtà alimentano dinamiche asimmetriche di dipendenza.
Al momento, sembra molto lontana la creazione di un’infrastruttura istituzionale che possa garantire un vero ordine internazionale, poiché la relazione russo-cinese si basa sostanzialmente sulla logica dei rapporti di forza, per loro natura asimmetrici, e sul tentativo di mettere in crisi l’egemonia occidentale.
Anche se l’incontro del 9 maggio a Mosca dovesse in un prossimo futuro contribuire a una pace in Ucraina, si tratterebbe di una tregua transitoria, poiché un ordine internazionale può esistere solo con un sistema condiviso di regole. Di conseguenza, la strategia russo-cinese di strutturare il sistema delle relazioni internazionali a partire da accordi bilaterali e rapporti di forza può rilevarsi un’illusione in quanto priva di una reale progettualità istituzionale. Piuttosto che un ordine multipolare, il rapporto russo-cinese potrebbe dare un ulteriore impulso alla nascita di un multipolarismo anarchico in cui la pace è soltanto un tregua tra una successione di guerre.
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