Come sappiamo, poco prima che la Russia invadesse l’Ucraina il presidente cinese e quello russo si erano incontrati a Pechino per siglare una partnership senza limiti temporali di alcun genere. Tuttavia, fino a questo momento, tale sinergia sembra molto limitata: se infatti il Dragone condivide, come la Russia, un atteggiamento sprezzante verso il sistema liberaldemocratico e unipolare guidato dagli Stati Uniti, la sua assistenza in campo economico alla Russia, allo scopo di limitare i danni delle sanzioni, è ancora scarsa.
Dobbiamo tenere presente, infatti, che i funzionari di Pechino hanno assunto un atteggiamento molto più prudente riguardo la loro posizione filo-russa, adottando una posizione quanto meno più neutrale. Se le sanzioni economiche dovessero trasformare la Russia in un vero e proprio paria, economicamente isolato come sperano Biden e Zelensky, la Cina potrebbe non venire in soccorso alla Russia. Infatti le partnership economiche tra Cina, Stati Uniti e Ue e i loro alleati nel continente asiatico sono molto più strette e allo stesso tempo molto più fruttuose sul piano economico rispetto a quelle con la Russia.
Vediamo i numeri. La Cina finora ha esportato circa 68 miliardi di dollari in merci in Russia, mentre le sue esportazioni verso l’America e l’Europa superano il trilione di dollari. Dobbiamo inoltre tenere presente una seconda considerazione: come farebbe la Cina a proteggere le proprie imprese dalle sanzioni poste in essere dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea? Non dimentichiamo a tal proposito che gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’Ue, analogamente a Giappone, Corea del Sud, Australia e Singapore hanno imposto una serie di sanzioni contro la Russia che includono il congelamento dei beni della Banca centrale russa, ma anche il divieto di transazioni bancarie, la disconnessione delle principali strutture bancarie russe dal sistema Swift. Se mettiamo insieme tutte queste soluzioni, è difficile nascondere come queste di fatto siano in grado di limitare in modo rilevante la capacità della Russia di effettuare transazioni finanziarie.
Se è indubbio che la diplomazia cinese – e in particolare il responsabile della regolamentazione bancaria, Guo Shuqing – ha esplicitamente sostenuto che la Cina non applicherà sanzioni finanziarie, ma continuerà a mantenere scambi normali con la Russia, resta tuttavia il fatto che questa dichiarazione – politicamente corretta – non significa che la Cina abbia la capacità di sfidare le sanzioni americane, europee e asiatiche. Quello che invece dicono fonti di intelligence finanziaria è che le transazioni tra Cina e Russia stanno cominciando a subire un evidente rallentamento.
In fondo, qual è il primo obiettivo della Cina se non l’autoconservazione? E questo è un obiettivo legittimo da parte cinese? Senza dubbio, se solo consideriamo che il Dipartimento del Tesoro americano, grazie alle norme extragiudiziali, ha il potere di punire attraverso sanzioni secondarie società o individui non americani che abbiano rapporti commerciali con determinate entità finanziarie russe. Questa strategia da parte degli Stati Uniti è stata applicata contro Corea del Nord, Iran, Russia e Venezuela. Può davvero la Cina permettersi il lusso di perdere l’accesso al sistema finanziario americano?
Certo, non possiamo dimenticare il fatto che la Cina abbia chiesto un maggiore uso del renminbi (valuta avente corso legale nella Repubblica Popolare Cinese, ndr) piuttosto che del dollaro Usa nel commercio e un uso più ampio del proprio sistema di pagamento interbancario transfrontaliero (Cips) piuttosto che della rete Swift. Ma è tuttavia vero che queste misure non finirebbero per ridurre la vulnerabilità economica della Cina di fronte alla sanzioni americane. Infatti le società cinesi che commerciano con le istituzioni bancarie russe inserite nella black list rischiano ancora sanzioni secondarie indipendentemente dal sistema di valuta che utilizzano. Solo quelle istituzioni che non hanno bisogno di commerciare con gli Stati Uniti possono davvero fare a meno del rischio di sanzioni e queste istituzioni finanziarie sono molto poche e nel contempo assai poco rilevanti (la Banca di Dandong o la Banca di Kunlun).
Ma gli Stati Uniti, allo scopo di aumentare la pressione economica nei confronti della Cina, hanno posto in essere anche un’altra strategia: hanno cioè imposto severi controlli sulle esportazioni alla Russia, come ad esempio l’embargo sui chip della multinazionale cinese Huawei. Cosa significa questo per la Russia? È molto semplice: queste sanzioni danneggeranno profondamente la Russia, perché le impediranno di poter avere accesso ai semiconduttori e a tutti i prodotti di fascia alta a livello tecnologico – come quelli nell’ambito della crittografia – e questo finirà per danneggiare a medio-lungo termine l’efficienza e la competitività industriale della Russia.
Infatti la Cina ha bisogno, sotto il profilo strettamente tecnologico, degli Stati Uniti, dell’Europa e anche del Giappone per poter accedere ai semiconduttori, nonché alla tecnologia di fascia alta. Facciamo un’ipotesi: è vero che multinazionali come Huawei e Smic sono già oggetto di sanzioni, ma potrebbero ancora ricevere tecnologie americane con il permesso del Dipartimento del Tesoro, se non violano le attuali sanzioni contro la Russia. Ma se questo avvenisse, le sanzioni poste in essere dagli Stati Uniti porterebbero a restrizioni molto più drastiche e quindi a perdite molto più consistenti per l’industria cinese.
Ritornando alla Cina, se questa intendesse violare le sanzioni per aiutare la Russia, avrebbe più da perdere che da guadagnare a livello economico.
Passiamo al settore energetico. Se l’Occidente intendesse porre in essere un embargo energetico, la preoccupazione per sanzioni secondarie ancora una volta indurrebbe le principali multinazionali cinesi nel settore del petrolio e del gas a rispettarlo.
Analogamente, se la Russia volesse ridurre in modo deliberato le sue esportazioni di gas verso l’Europa, la Cina certo potrebbe essere in grado di assorbirne una parte, ma non abbastanza per compensare le gravi perdite finanziarie. Non dimentichiamo infatti che la Cina ha importato circa 10 miliardi di metri cubi di gas naturale dalla Russia lo scorso anno attraverso il gasdotto Power of Siberia. In linea teorica questo gasdotto potrebbe trasportare fino a 38 miliardi di metri cubi all’anno, ma questa cifra è soltanto una piccola frazione delle vendite in Europa che si aggirano intorno ai 175 miliardi di metri cubi. Inoltre il gasdotto non è collegato ai giacimenti che riforniscono l’Europa e ciò rende molto difficile per la Russia, a breve termine, la possibilità di reindirizzare il gas naturale alla Cina.
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