La Russia ha presentato condizioni stringenti per un eventuale cessate il fuoco durante i negoziati che si sono tenuti a Istanbul con l’Ucraina, delineando una roadmap che – di fatto – congelerebbe l’attuale equilibrio politico e territoriale del conflitto: Mosca chiede che Kiev adotti uno status di neutralità permanente, modellato sull’esempio austriaco, e ciò implicherebbe il divieto di adesione alla NATO e l’esclusione di basi militari straniere dal territorio ucraino, inoltre, il Cremlino vincola qualsiasi tregua immediata al riconoscimento costituzionale delle annessioni di Crimea, Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia, pretendendo il ritiro completo delle truppe ucraine da queste aree.
Tra le altre condizioni, figurano la rinuncia reciproca a ogni richiesta di risarcimento per danni di guerra e la garanzia di protezione per i cittadini di lingua russa, dichiarando l’intenzione di “depurare la società ucraina dalla propaganda nazionalista”, un’espressione che ribadisce l’intento ideologico della proposta; il ministero della Difesa russo ha chiarito che tali richieste devono essere considerate non negoziabili, rimarcando che solo un’accettazione piena e senza riserve da parte di Kiev potrà aprire la strada a un cessate il fuoco, e questa posizione riflette la volontà di legittimare le conquiste militari, esercitare un controllo ideologico e geopolitico sull’Ucraina e ridefinire i suoi allineamenti internazionali.
Con la guerra entrata ormai nel terzo anno e un bilancio di oltre 500mila vittime stimate, Mosca punta a trasformare gli esiti sul campo in realtà giuridiche solide, mentre l’Occidente si interroga sul da farsi: accettare compromessi strategici o continuare a sostenere senza cedimenti la resistenza di Kiev.
Russia-Ucraina tra la questione territoriale e lo scambio di prigionieri: a Istanbul trattative ferme, unico accordo umanitario
I colloqui di Istanbul – i primi incontri diretti dal 2022 – si sono chiusi con un unico risultato concreto, ovvero, l’accordo per lo scambio simultaneo di 1.000 prigionieri da entrambe le parti: un gesto di natura umanitaria che – però – non intacca i punti strutturali del conflitto con l’Ucraina – rappresentata dal negoziatore Rustem Umerov, che ha cercato di rilanciare l’ipotesi di un vertice diretto tra Zelensky e Putin, ma la Russia ha risposto con una posizione fredda e interlocutoria.
Il Cremlino ha infatti inviato solo una delegazione di secondo piano e il portavoce Dmitry Peskov ha precisato che un faccia a faccia tra i due presidenti sarà possibile solo dopo accordi preliminari (un dettaglio che Kiev interpreta come chiara dimostrazione della mancanza di volontà negoziale da parte russa) e, secondo il presidente ucraino, Putin eviterebbe un confronto diretto per paura di esporsi politicamente.
Sul fronte internazionale, il segretario di Stato USA – Marco Rubio – ha sollecitato una fine immediata delle ostilità, mentre l’Unione Europea minaccia nuove sanzioni qualora lo stallo prosegua – nel frattempo – la Turchia, mediatrice assieme a ONU e Qatar, tenta di mantenere aperto il dialogo ma l’asimmetria tra le richieste resta l’ostacolo centrale.
Da una parte, Mosca insiste sul riconoscimento legale delle annessioni; dall’altra, Kiev reclama il ritiro totale delle forze russe e il ripristino dei confini del 1991 e l’accordo sullo scambio di prigionieri – per quanto simbolico – ha acceso speranze tra le famiglie dei militari detenuti, ma rischia di restare l’unico risultato tangibile di un negoziato destinato a durare mesi; con il fronte militare ormai stabilizzato e le economie nazionali sotto crescente pressione, il cessate il fuoco resta – verosimilmente – una prospettiva lontana, mentre la comunità internazionale continua a chiedersi quale sia la chiave risolutiva di una guerra che continua – giorno dopo giorno – ad erodere la stabilità globale.