È proprio così, i sacchetti di plastica, tanto demonizzati da metterli al bando, in realtà inquinano meno delle alternative “ecologiche” che spesso ci vengono spacciate come soluzioni migliori e risolutive: una verità tanto scomoda quanto difficile da digerire per chi si è ormai arreso alla retorica dell’ambientalismo da social, dove ogni busta di cotone è un atto di fede e ogni sacchetto di plastica una sentenza di morte per il pianeta.
Ma è proprio la scienza – quella certa e incontrovertibile – a raccontare una storia ben diversa, basata su studi oggettivi e dati concreti da cui emerge chiaramente come il green non sia sempre la risposta, e come a volte, come in questo caso, sia più simile a un vestito indossato per fare bella figura che a una soluzione efficace per il nostro futuro, tanto che quello che sembrava essere un piccolo passo verso il salvataggio della Terra si trasforma spesso in un gigantesco passo indietro, un’impresa spesso solitaria e fine a sé stessa, in cui l’ideologia ambientalista è più concettuale che pragmatica, che guarda più ai followers che alla vera salvaguardia dell’ambiente.
Un esempio lampante di questa distorsione ideologica è proprio il caso dei sacchetti di plastica, spesso accusati di essere il male assoluto, figli dei combustibili fossili, ma che alla luce di studi scientifici internazionali si rivelano essere ironicamente l’alternativa meno dannosa per l’ambiente, così il sacchetto di cotone, diventato simbolo di purezza intangibile, diventa l’emblema di una profonda contraddizione: se non riutilizzato fino alla nausea (almeno 131 volte), la sua impronta ecologica finisce per risultare peggiore di quella di un banale sacchetto di plastica, come rivelato dagli studi britannici e danesi.
Sacchetti di plastica: una minaccia ingiustificata e una lezione scomoda
Eppure, in un mondo che sembra sempre più incline a scelte superficiali e facili da digerire, la scienza arriva a dirci qualcosa che nessuno vuole ascoltare: il sacchetto di plastica è in effetti l’alternativa migliore per l’ambiente. Gli studi dell’Agenzia per l’ambiente britannica e quella danese per la protezione dell’ambiente non fanno altro che confermare ciò che spesso si tende a ignorare, cioè che, se un sacchetto di plastica fosse riutilizzato come dovuto, il suo impatto sarebbe decisamente minore di quello di altre soluzioni, come le buste di carta o, incredibilmente, le sacche di cotone.
Ma, nonostante ciò, il messaggio che arriva è quello dell’immagine, della perenne battaglia simbolica che fa del danno ambientale uno status symbol; i sacchetti di carta, per esempio, sebbene riciclabili, sono fragili e poco resistenti e spesso finiscono per rompersi inesorabilmente.
Ma non è tutto: per essere ecologicamente superiori al sacchetto di plastica, devono essere riutilizzati almeno tre volte. Ma quante volte siamo davvero disposti a rischiare di vedere il nostro acquisto disperdersi in mille pezzi sotto i nostri occhi impotenti? Forse la vera beffa, la fredda ironia della situazione, risiede nel voler ignorare che, secondo i freddi dati scientifici, un sacchetto di cotone deve essere riutilizzato addirittura più di cento volte per compensare l’impatto ambientale di un singolo sacchetto di plastica. Ma chi è che ha davvero il tempo e, soprattutto, la pazienza di arrivare a contare i cicli di utilizzo di una busta?
Quello che ci sfugge è che la plastica, pur con tutte le sue contraddizioni, ha la migliore percentuale di riciclo. Ma, nonostante ciò, rimane il nemico più comodo, oltre che il più spudoratamente demonizzato: così la plastica è diventata il simbolo di un male da combattere, il capro espiatorio perfetto per distogliere l’attenzione dalle vere soluzioni, quelle che non piacciono a nessuno perché implicano scelte più ragionate e difficili da digerire, come ridurre il consumo complessivo, ripensare i modelli produttivi e, soprattutto, abbattere l’idea che ogni singolo gesto, per quanto possa sembrare virtuoso, risolva concretamente i nostri problemi quotidiani.