La procura di Milano avrebbe aperto un'inchiesta sui safari dell'orrore a Sarajevo: gli italiani pagavano per uccidere i civili durante l'occupazione serba
A più di 30 anni di distanza da una delle pagine più buie e crude della Bosnia-Erzegovina, la procura di Milano sembra aver aperto un fascicolo di inchiesta sui cosiddetti “Sarajevo Safari“, resi noti da un lungo documentario – omonimo – pubblicato dall’emittente Al Jazeera e che sembrano raccontare della presenza di un vero e proprio turismo dell’orrore durante il famoso assedio della città bosniaca al quale avrebbero partecipato centinaia di persone provenienti da ogni parte del mondo, Italia inclusa.
Prima di arrivare ai safari dell’orrore, potrebbe essere utile soffermarci brevemente sull’assedio della città di Sarajevo: si tratta – a conti fatti – del più lungo registrato in epoca moderna, inserito nel contesto della guerra in Bosnia ed Erzegovina che si è combattuta tra il 1992 e il 1995 e che vide la contrapposizione tra il governo bosniaco e quello jugoslavo e serbo-bosniaco per la dichiarazione – da parte della Bosnia – dell’indipendenza.
Complessivamente l’assedio a Sarajevo si stima che sia durato dal 5 aprile del 1992 fino al 29 febbraio del 1996 e si stima che siano state uccise più di 12mila persone, con oltre 50mila feriti dei quali la stragrande maggioranza furono civili: l’assedio si concluse solamente grazie all’intervento della NATO che ridusse ampiamente la potenza bellica dei serbi, riuscendo a costringerli a siglare l’accordo di Dayton dell’ottobre del 1995; anche se di fatto il governo bosniaco dichiarò la fine dell’assedio solamente nel 1996.
L’indagine a Milano sui safari dell’orrore a Sarajevo: tra i “turisti” che pagavano per uccidere i civili, anche alcuni italiani
Tornando a noi, grazie a un meticoloso e approfondito lavoro di indagine durato parecchi anni, il regista sloveno Miran Zupanic è riuscito a scoprire che durante l’assedio di Sarajevo si creò in tutto il mondo un vero e proprio turismo dell’orrore con civili disposti a pagare ingenti cifre per salire sui grattacieli del quartiere (occupato dai serbi) Grbavica e improvvisarci cacciatori di esseri umani, incaricati di sparare indistintamente sulla folla di civili per le strade.
Oltre al lavoro condotto da Zupanic ci sarebbe, però, anche un’inchiesta giornalistica condotta da Ezio Gavazzeni, che sarebbe giunta grosso modo alle stesse conclusioni: secondo le testimonianze che ha raccolto – e che sono finite alla base dell’esposto presentato alla procura di Milano -, circa una volta al mese dall’Italia partivano veri e propri autobus carichi di civili, mascherati con la (falsa) dicitura degli aiuti umanitari e il cui obbiettivo era quello di uccidere i civili di Sarajevo.
Non solo, perché tra i “safaristi” di Sarajevo secondo Gavazzeni ci sarebbero stati anche membri dell’élite italiana dell’epoca e il meccanismo sarebbe stato ben noto ai servizi segreti: ora il compito della procura meneghina è quello di ricostruire le generalità di chi avrebbe pagato – secondo il giornalista anche l’equivalente di 100mila euro attuali – per uccidere i civili di Sarajevo, in una sorta di macabro gioco dell’orrore.