Nelle settimane scorse è stato pubblicato l’annuale rapporto mondiale sui salari che descrive le tendenze e le disuguaglianze salariali in Italia e nel mondo.
Dallo studio emerge come, in un arco temporale di ben 17 anni, l’Italia abbia subito le perdite maggiori in termini assoluti di potere d’acquisto dei salari a partire dal 2008. Andando più nel dettaglio si evidenzia che, tra i Paesi a economia avanzata del G20, le perdite di salario reale sono state dell’8,7% in Italia, del 6,3% in Giappone, del 4,5% in Spagna e del 2,5% nel Regno Unito.
In Italia, la perdita è stata particolarmente significativa a seguito della crisi finanziaria mondiale nel periodo tra il 2009 e il 2012. Per contro, nello stesso periodo, la Corea del Sud si distingue per aver registrato un significativo aumento salariale complessivo del 20% tra il 2008 e il 2024.
Gli stessi dati evidenziano, inoltre, come la recente crisi del costo della vita abbia avuto un impatto negativo su tutti i Paesi a economia avanzata del G20, con un effetto particolarmente severo in Italia nel “biennio” 2022 e 2023. A partire dal 2024, la ripresa dei salari reali ha, altresì, interessato il nostro come anche altri Paesi, eccetto gli Stati Uniti e la Corea del Sud.
In questo contesto deve leggersi, quindi, il periodico report dell’Istat sulle retribuzioni in Italia pubblicato ieri, da cui emerge che la retribuzione oraria media nel periodo gennaio-marzo 2025 è cresciuta del 3,9% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
L’indice delle retribuzioni contrattuali orarie a marzo segna un aumento dello 0,4% rispetto al mese precedente e del 4,0% rispetto a marzo 2024. L’aumento tendenziale è stato del 4,9% per i dipendenti dell’industria, del 4,3% per quelli dei servizi privati e dell’1,7% per i lavoratori della Pubblica amministrazione. I settori che presentano gli aumenti tendenziali più elevati sono: alimentari (+7,8%), metalmeccanico (+6,3%) e commercio (+6,1%). L’incremento è invece nullo per farmacie private, telecomunicazioni, regioni e autonomie locali e Servizio sanitario nazionale.
Potremmo, insomma, dire che, negli ultimi anni, vi sono piccoli segnali di ripresa delle dinamiche salariali e, si auspica, del potere d’acquisto dei lavoratori italiani. La speranza, tuttavia, è che questo fenomeno non sia la tipica rondine che non fa primavera, ma diventi, altresì, un elemento strutturale e duraturo.
Il problema, infatti, come ci raccontano anche gli stessi dati statistici, non è qualcosa di nuovo nel nostro sistema economico, ma viene da lontano. L’auspicio è che su questo si lavori con provvedimenti pensati non solo per l’oggi, ma che si programmi, per quanto possibile, il futuro all’interno di un complessivo piano per il Paese del 2050 che veda, nel rispetto dei ruoli, il massimo coinvolgimento politico e sociale.
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