Si è aperto ieri il Salone del Libro di Torino 2025. Una mega-kermesse con dentro quasi di tutto. Di sicuro l’aggregazione vince sui libri
Si è aperta ieri l’edizione 2025 del Salone del Libro di Torino, l’annuale kermesse dedicata al libro e ospitata nei padiglioni dello storico stabilimento Fiat del Lingotto nel capoluogo piemontese. Fino a lunedì 19 maggio la città sarà capitale culturale d’Italia e punto di riferimento europeo, in un anno in cui l’ospite d’onore sono i Paesi Bassi e il loro patrimonio intellettuale e letterario.
Già la prima mattina i padiglioni si sono riempiti di una folla imponente e giovane: il primo e l’ultimo giorno, infatti, essendo prettamente scolastici, sono quelli in cui l’afflusso di studenti, anche molto piccoli, è maggiore: non è difficile incontrare sciami di cappellini dello stesso colore agli stand degli editori per l’infanzia, distintivi delle classi degli alunni della primaria accompagnati dagli insegnanti in giro per gli stand.
Questa edizione si apre con numeri imponenti: 2mila incontri previsti nelle sale fortemente implementate come numero di posti, 1.225 marchi editoriali che ricoprono di libri e scatoloni i 980 stand che occupano i 137mila metri quadrati del Salone.
Eppure, proprio mentre gli organizzatori snocciolano le cifre straordinarie, sempre in crescita, la direttrice del Salone Annalena Benini, succeduta a Nicola Lagioia dopo l’avvento del governo Meloni, afferma: “Non inseguiamo i numeri, ma puntiamo alla qualità e all’inclusività”. Su quest’ultima non c’è dubbio, poiché gli eventi davvero includono uno spettro larghissimo di ospiti e incontri di tutti i tipi, le tendenze e i temi; il Salone è talmente inclusivo da abbracciare anche le diverse qualità, che vanno dagli incontri di più alta letteratura a quelli che strizzano l’occhio sicuramente ad un pubblico meno avvezzo a tenere in mano un libro.
Si incontrano in effetti frotte di ragazzini euforici per aver intravisto la mole di Gianluigi Buffon scorrere nei corridoi; torme di giovanissimi strillano entusiasti appena scorgono l’insegna di Legami, l’azienda di cartoleria che sfoggia uno stand elegante e colorato ma totalmente privo di libri; oltre alle consuete star dell’editoria giornalistica e letteraria, come Ezio Mauro, Severgnini o, new entry, Orsini, e l’immancabile Saviano a cui sono dedicati tre incontri (che non capiti che si offenda, come quando non lo invitarono a Francoforte), si assiste alla consueta calata di vip che stanno più in televisione che in libreria (o contemporaneamente), come, in ordine sparso, Littizzetto, Fabio Fazio e Mara Venier, Venditti e Giordano Bruno Guerri, gli immancabili storici del fascismo, come Luca Ricolfi che ha scritto Benito e, of course, Antonio Scurati, che ormai sta al fascismo come il prezzemolo al pesce.
Annunciata anche, in trasferta dall’Emilia, la strana coppia Ligabue-cardinale Zuppi, che dialogherà sulla forza delle storie scritte e cantate e il pubblico si preannuncia oceanico: una delle tante file che si incocciano quando in una delle sale conferenze del Lingotto scende per un incontro un vip.
Anche sull’ampliamento dei posti agli incontri l’organizzazione ha sciorinato fior di numeri in aumento, che hanno toccato perfino quello dei bagni a disposizione: per la cronaca, non si è mancato di informare i visitatori che le 135 toilette in dotazione normalmente alla Fiera sono state implementate di 115 unità: un sollievo per le vesciche, notoriamente messe a dura prova dal Salone.
Il profluvio di cifre che serve a connotare quantitativamente l’evento di Torino, rendendolo una specie di corazzata della diffusione del libro, rischia però di cozzare con un numero terribile, che aleggia sulla fiera e spunta ogni tanto nei discorsi declassando la corazzata a bastimento già in modalità Titanic: nel primo quadrimestre 2025 in Italia sono stati venduti un milione di libri in meno rispetto all’anno scorso. È evidente che qualcosa non va, soprattutto se teniamo conto che il Salone qualifica sé stesso come l’evento più importante del settore.
È evidente che la quantità non è sinonimo di qualità, né di educazione alla lettura. E se è vero che le folle si recano a sentire l’ex portiere della Nazionale che ha scritto un libro, forse occorrerebbe concentrarsi più su spazi meno pletorici, che raccolgono lettori e appassionati del libro più fedeli, appassionati, approfonditi, come ad esempio lo stand di un editore aristocratico e difficile come Adelphi, che nulla concede nella sua linea editoriale a scelte di facile mercato.
A Torino è chiaro che succede nel mondo del libro quello che è successo nelle parrocchie dove i parroci, per tenere legati soprattutto i ragazzi, hanno aperto il bar, comprato i biliardini e modernizzato la liturgia con canti simil-pop. Poi i giovani se ne sono andati lo stesso, i bar hanno chiuso e i biliardini hanno preso la polvere. Stesso destino per i festival dell’Unità, che ai dibattiti culturali e politici e alle grandi librerie hanno preferito i tortellini e il folk, per poi in gran parte estinguersi. Nessuno al Salone informa sui temi, su argomenti profondi, costruttivi, educativi, su questioni che tocchino le menti e i cuori, cioè della sostanza del libro, in fondo.
Ad inaugurare il Salone è giunto il ministro Giuli, che ha confermato l’importanza della cultura affermando che al Salone “si sente al sicuro”, forse scottato dalle recenti polemiche del mondo del cinema. Nel pomeriggio ha incontrato i rappresentanti di editori, librai e bibliotecari che, in una litania di lamentele, hanno chiesto, tanto per cambiare, sostegno economico dello Stato e il ripristino di certi bonus per l’acquisto, come la carta app18 per i ragazzi o i fondi per le biblioteche.
Chissà se il ministro, che ha risposto rassicurante e vago, non abbia rimpianto di essere tutto sommato ancora tra i cineasti; certo noi che c’eravamo abbiamo rimpianto l’incontro su Alfred Döblin e Fëdor Dostoevskij che ci siamo persi perché previsto, purtroppo, in contemporanea.
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