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Home » Sanità, salute e benessere » SANITÀ, CROLLO NASCITE E NUOVI MEDICI/ I numeri che preparano la prossima crisi del SSN

  • Sanità, salute e benessere
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SANITÀ, CROLLO NASCITE E NUOVI MEDICI/ I numeri che preparano la prossima crisi del SSN

Carlo Zocchetti
Pubblicato 16 Aprile 2024
Contagi Covid

Coronavirus Italia (Ansa)

Sanità: difficile stabilire il fabbisogno di medici e infermieri. Ma se continua il calo demografico sarà più difficile trovare personale

Considerazione ovvia e banale per cominciare in modo serio e documentato una discussione in materia: per dire che nel comparto sanitario e, aggiungo io, sociosanitario c’è un problema di personale occorre preliminarmente rispondere a due domande, e cioè da una parte di quanto personale (e di che tipo) abbiamo bisogno; e dall’altra quante (e quali figure) al momento abbiamo. La differenza tra quelli che abbiamo e quelli che ci servono ci dovrebbe dire se (e dove) il personale cresce o manca. Ora, dando ovviamente per scontato che si sappiano fare le sottrazioni, è vero che si è in grado di rispondere alle due (apparentemente semplici) domande di cui sopra? In proposito chi scrive nutre molte perplessità.


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Non ci risulta, ad esempio, che in giro vi siano numeri seri per dire quante persone (e che tipo di figure) servono, col che viene a mancare uno dei pilastri del ragionamento. Ma anche chi pensa che almeno si sappia rispondere alla seconda domanda (quante ce ne sono), si deve un po’ (e forse un bel po’) ricredere, a giudicare dalla fatica fatta dal ministero della Salute a mettere insieme dei dati numerici il più possibile completi (si veda la pubblicazione Il personale del sistema sanitario italiano. Anno 2020, 2022).


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Certo, non ci sono delle prove, però si possono mettere insieme degli indizi, anche se da una parte gli indizi non forniscono un orientamento necessariamente oggettivo, e dall’altra in sanità in genere non vale l’assunto di Sherlock Holmes secondo cui tre indizi fanno una prova. Vediamo allora alcuni di questi indizi e le direzioni che ci fanno intravvedere.

L’indizio più citato è il confronto internazionale, il quale per il nostro Paese da una parte segnala una netta mancanza di infermieri e dall’altra una certa esuberanza di medici, anche se dal confronto (che è ovviamente di tipo complessivo) non emergono quali sono le aree di esuberanza e se esistono eventuali zone di sofferenza (territori, discipline, specializzazioni, servizi, etc.). Sapendo poi che i servizi sanitari nazionali sono così diversi tra di loro per tanti ordini di motivi è facile ipotizzare che questi confronti rappresentino un indizio che agisce come una coperta corta che può essere tirata dalla parte che si vuole.


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Il secondo indizio, un po’ più solido, è il blocco delle assunzioni imposto dai governi che si sono succeduti in questi ultimi (almeno) 10-15 anni, con la conseguenza di avere invecchiato in maniera significativa la forza lavoro a disposizione senza avere reintegrato il personale che per tanti motivi (pensione, disaffezione, migliori condizioni economiche o di lavoro, …) se ne è andato via dal SSN.

Un terzo indizio ha a che fare con le difficoltà che alcune specializzazioni cliniche stanno sperimentando per cui i relativi professionisti le stanno abbandonando e nuovi adepti non risultano attratti: tra i casi esemplari si citano le aree della emergenza-urgenza e della medicina di base, con una sempre più frequente segnalazione per quest’ultima di territori e condotte che rimangono scoperte, e per le altre discipline di concorsi che vengono aperti ma che non trovano partecipanti.

D’altra parte sono state introdotte modalità di acquisizione del personale che destano sicure perplessità (gettoni di presenza) e che sono un indizio abbastanza evidente delle difficoltà che il contesto sanitario presenta dal punto di vista della forza lavoro. Ma di indizi ce ne sono molti altri: di tipo generale, come l’insoddisfazione che porta ad allontanarsi dal SSN per cercare altrove migliori aspettative e benefici, o l’allungarsi delle liste di attesa che trova nella carenza di personale una delle sue ragioni; oppure di tipo particolare, come nel caso delle molte regioni di confine dove i professionisti possono trovare nelle nazioni viciniori motivi per allontanarsi dal lavoro in Italia; oppure ancora legate alle novità introdotte dal PNRR ed alle relative esigenze di nuovo personale. Senza parlare degli stratosferici errori di programmazione sul tema della formazione (universitaria e post-universitaria) perché la preparazione di un professionista richiede 10-15 anni di studio e pertanto implica, in chi ha l’autorità di fare scelte, di saper guardare avanti per capire di cosa avrà bisogno il SSN di domani o dopodomani.

Fin qui, a parte il controverso tema della formazione e della programmazione, si tratta di indizi che segnalano una sofferenza del SSN sul tema del personale ma che possono trovare una soluzione in attività ed azioni interne al settore sanitario e sociosanitario. Per completare la valutazione occorre però aggiungere un elemento, di cui da non molto ci si è resi conto, che è del tutto estraneo al contesto sanitario ma che condizionerà in maniera determinante le soluzioni relative al personale del SSN per i prossimi anni: il problema demografico.

L’argomento ha due aspetti. Il primo ha a che fare con l’invecchiamento della forza lavoro causato dal mandato ricambio e reintegrazione dei soggetti usciti per cui, ad esempio, la distribuzione per età dei medici ha un picco nella classe di età 60-64 anni e quella degli infermieri nella classe 50-54 anni, con le classi più giovani in entrambe le professioni che sono le più povere in termini numerici. Ne consegue che a breve il SSN perderà una quota significativa di medici (40mila, secondo le stime di AGENAS, entro il 2027) ed a medio termine lo stesso fenomeno interesserà gli infermieri. A questo si aggiunga un cambiamento di genere in termini di frequenze: nelle età inferiori prevalgono le femmine, il che può implicare una significativa variazione nella scelta delle specializzazioni.

Il secondo aspetto demografico è probabilmente ancora più grave e ad oggi non più riparabile. Il grosso della forza lavoro attiva nel SSN viene da generazioni molto ricche in termini numerici: oltre 900mila nati all’anno nel 1960 e 1970, 650mila nel 1980. Dentro queste generazioni si sono selezionati coloro che hanno scelto di lavorare in sanità. Nel 1995-2000, e cioè le generazioni che saranno le prossime ad entrare in sanità, i nati sono attorno a 550mila, e negli anni più recenti i nati sono dell’ordine di 400mila (ed ulteriormente in diminuzione, come attestato recentemente da ISTAT per il 2023). Questo significa, nell’ipotesi che in futuro serva la stessa quantità di personale che si usa oggi (ma c’è chi dice che la maggiore estensione e complessità dei bisogni e delle cure di oggi e di domani richiede più personale rispetto a ieri ed oggi), che tale personale dovrà uscire da un bacino che è la metà (o meno della metà) di quello di ieri, e pertanto o raddoppia l’attrattività della sanità rispetto ad altri settori, o numericamente verrà a mancare la forza lavoro di cui ci sarà bisogno.

Questo vincolo, oggi, non è più riparabile (i buoi sono scappati), e rappresenta probabilmente la sfida più grande che la sanità si troverà ad affrontare, suo malgrado, nei prossimi anni, sfida che già adesso sta colpendo i nostri figli e ancora di più interesserà i nostri nipoti. Ma per l’affronto di questa sfida la sanità può fare poco: è necessaria una inversione nell’andamento del numero dei nati, cioè serve che finisca l’inverno demografico che ha caratterizzato gli ultimi (molti) decenni.

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