I tempi di attesa sono in attesa che le regioni intervengano per ridurli: per questo il ministro della Salute rimprovera le regioni perché attendono nello spendere le risorse loro assegnate per abbreviare i tempi di attesa. Di converso, le regioni attendono che il Governo metta adeguate risorse per ridurre i tempi di attesa e non invada le competenze regionali sui tempi di attesa.
E i cittadini? Attendono e basta: attendono che il ministro faccia quello che deve fare e che le regioni dicono che non fa, attendono che le regioni facciano quello che devono fare e che il ministro dice che non fanno, ma soprattutto attendono che qualcuno dentro il SSN (ministro, regioni, aziende sanitarie pubbliche, strutture private accreditate, MMG, …) o fuori da esso (mago Merlino, Superman, ecc.) inventi qualcosa che riduca gli attuali (ed inaccettabili) tempi di attesa per accedere a prestazioni sanitarie che sono considerate essenziali.
Se fossi un comico sono convinto che la materia suggerirebbe una infinita quantità di gag, ma purtroppo sono solo un cittadino che vive in questo (per tanti aspetti “bel”) Paese e insieme a tutti gli altri come me può diventare da un momento all’altro utilizzatore del servizio sanitario e aver bisogno di prestazioni e servizi essenziali: e per il comune cittadino questa stucchevole polemica tra ministro e regioni, dove tutti hanno ragione e nessuno ha mai torto, dove ciascuno deve fare ma poi in pratica tocca sempre agli altri, porta solo alla conseguenza che se oggi i tempi di attesa sono inaccettabilmente lunghi domani lo saranno ancora di più, perché la demografia inevitabilmente incombe.
È dei giorni scorsi, infatti, lo scambio di invettive, a suon di dichiarazioni ma soprattutto di lettere (perché verba volant ma scripta manent) tra il ministro della Salute Orazio Schillaci ed il presidente della Conferenza delle regioni Massimiliano Fedriga a proposito della lunghezza dei tempi di attesa per accedere a prestazioni e servizi essenziali.
Il primo, in forza dei risultati delle ispezioni dei Carabinieri del NAS che avrebbero rilevato tante criticità concrete nella gestione delle agende di prenotazione in almeno il 27% delle strutture ispezionate, e delle rilevazioni della Corte dei Conti secondo la quale le risorse disponibili (oltre 2 miliardi tra il 2020 ed il 2024) sarebbero state spese in maniera esigua e non sempre efficiente (un terzo dei fondi dati alle regioni non sarebbero stati spesi), e preoccupato che queste criticità “negano il diritto alla salute di migliaia di cittadini ogni giorno”, si è fatto promotore di un decreto attuativo sui poteri sostitutivi che, a suo dire, “vuole razionalizzare, combattere l’inciviltà e i ritardi” e soprattutto smuovere le regioni inattive. Il secondo vede, invece, l’intervento del ministro come una indebita invasione di campo che non è compatibile con le autonomie locali e lo invita sia a mettere più risorse, sia a intervenire sulla appropriatezza prescrittiva.
Ora, al di là dei motivi specifici della polemica e che sono legati al decreto in discussione, almeno tre sono gli elementi certi: da una parte la lunghezza inaccettabile delle liste di attesa è un dato di fatto, e non una discussione sul sesso degli angeli, in tutte le regioni; dall’altra è davanti agli occhi di tutti la lentezza (o addirittura la mancanza) di azione di molte regioni, con evidenti esiti negativi sull’utilizzo (o meglio, non utilizzo) delle risorse e su atteggiamenti commendevoli (mancata applicazione delle leggi esistenti); dall’altra ancora, anche nelle regioni che si sono attivate, i risultati attesi quanto a riduzione dei tempi di attesa si stanno facendo attendere, dimostrando come il problema non è aperto a facili soluzioni soprattutto se lo si affronta solo (o prevalentemente) sul versante della offerta di prestazioni.
Premesso che il non fare e il non utilizzo delle risorse disponibili non sono comunque giustificabili, e almeno su questo non si può non dare ragione alle lamentele del ministro, bisogna riconoscere che quello del governo delle liste di attesa è problema complesso che mette sul tavolo molti temi: dalle risorse economiche a quelle di personale e strumenti; da interventi organizzativi sul lato dell’offerta (orari di apertura dei servizi, spazi, …) ad azioni sul lato della domanda (appropriatezza, medicina difensiva e contenziosi, …); dal rapporto tra l’assistenza territoriale (MMG, medicina di iniziativa, case di comunità, …) e quella ospedaliera all’empowerment ed all’educazione del cittadino; dalla telemedicina e teleassistenza agli sviluppi delle possibilità di diagnosi e cura (nuovi metodi e strumenti). E così via, con la demografia che spinge inevitabilmente verso un aumento quantitativo della domanda di prestazioni sanitarie e sociosanitarie.
Questa complessità non può essere risolta con interventi limitati, settoriali, di corto respiro, ma implica un ridisegno complessivo del SSN, ridisegno che però, bisogna riconoscerlo, non fa parte delle prospettive che la politica di oggi è in grado di mettere in campo, né a livello nazionale né a livello regionale, come dimostrano le proposte di legge, anche recenti, avanzate dai partiti sia di maggioranza che di opposizione.
Occorre una iniziativa di grande respiro che chiami in causa tutta la società (esperti, organizzazioni, associazioni, volontariato, cittadini, …): qualche tentativo c’è, vedremo se ha la forza ed il coraggio di aggregare pensieri disponibili (anche diversi) ed anime disposte a collaborare e dialogare.
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