«Recovery Plan? L’Italia non ce la farà mai a rispettare la road map delle riforme», e non sarà la sola: a dirlo nell’intervista a “La Verità” è l’economista Giulio Sapelli, docente all’Università Statale di Milano e membro del Cda della Fondazione Eni Enrico Mattei. Al di là delle considerazioni sul Green Pass e le polemiche sui vaccini (Sapelli convinto pro-vax senza però voler insistere sulla “repressione”, «ci vuole la cultura per convincere chi è scettico»), è il tema delicato del Recovery Fund europeo a rimanere al centro della politica economica dei prossimi anni.
«Non saremo in grado di rispettare i tempi del Recovery Plan» spiega ancora il professor Sapelli al collega Antonio Di Francesco, pur rimanendo ottimista sul prosieguo dell’economia italiana, «Consiglio di registrare le parole del Commissario europeo per il Bilancio, l’austriaco Johannes Hahn, per il quale “un modo si troverà, l’Europa intera non può fare la fine della Grecia”. Se anche un vecchio democratico cristiano austriaco dice queste cose, allora una quadra verrà trovata, non fasciamoci la testa». Quantomeno occorrerà attendere almeno il 2058 per estinguere definitivamente il debito, dunque Sapelli predica «calma e gesso».
L’OTTIMISMO DI SAPELLI SUL FUTURO DELL’ECONOMIA UE
L’ottimismo di Sapelli nasce poi non tanto nella gestione economica impostata dall’attuale Commissione Europea, ma da un semplice “calcolo” economico: «i consumatori non hanno fiducia nel futuro. Si deve spendere, si deve dire ai consumatori di spendere, di mettere in moto la macchina con i loro consumi. Seri e meditati, certamente, ma vanno fatti». La fiducia dell’economista per qualche giorno in “odore” di divenire Presidente del Consiglio (prima del Governo Conte-1, ndr) riguarda dunque le imprese italiane, sia piccole che artigiane e manifatturiere: «Hanno resistito, sono resilienti, nonostante le mille fatiche che hanno dovuto sopportare. Il turismo e la ristorazione professionale reggono. La grande debolezza della piccola impresa, come insegnava l’economista Ricardo, è una tendenza al rendimento decrescente: i guadagni sono altalenanti e difficili, le spese fisse sono sostenute». Non mancano le frecciate di Sapelli alla politica, in particolare alla gestione fatta dal Governo Conte durante l’esplodere della pandemia da Covid: «piccoli e medi imprenditori sono stati massacrati, non si è fatto nulla per abbassare le loro spese fisse. Per sostenerli serviva un piano di defiscalizzazione e la creazione di infrastrutture pubbliche per eliminare le diseconomie interne. Negli ultimi anni abbiamo distrutto il comparto infrastrutturale e la tragedia del ponte Morandi è la dimostrazione plastica di come il passaggio da un monopolio pubblico a uno privato sia stato tragico». Secondo il prof. Sapelli, non serve certo una nuova Iri per rilanciare la produttività del Paese, semmai nuove creatività e applicazioni della politica no-profit sulle infrastrutture pubbliche: «Elinor Ostrom, premio Nobel per l’economia, ci ha insegnato come gestire le infrastrutture: tutto quello che si guadagna finisce alla manutenzione e all’allargamento delle reti. Non nelle tasche degli azionisti».