SCENARI/ Crac Evergrande e invasione di Taiwan, il nuovo ’29 si avvicina

- Marco Pugliese

Dal crac Evergrande a Taiwan, l’isola dei semiconduttori che nel 2027 potrebbe essere invasa da Pechino, il cigno nero cinese ha ormai aperto le ali

Cina Evergrande Lapresse1280 640x300 La sede di Evergrande (LaPresse)

Lettori forse un po’ distratti dovranno incrociare questi assi: Evergrande, Taiwan, 2027. Il primo è un colosso cinese del settore immobiliare con oltre 250 miliardi di euro di debiti. Il secondo è l’isola di Taiwan: il 60% dei semiconduttori si produce in loco, la società moderna senza questa produzione si ferma. Inoltre l’isola è hub di transito per il petrolio verso il Giappone. 2027 è invece un anno importante: dopo quella data gli Usa non avranno più la forza militare di contenere la Cina, che non avrebbe problemi a invadere Taiwan.

L’asse militare corre in parallelo a quello economico: l’Occidente con la Nato fa una operazione di contenimento dotando l’Australia di sommergibili nucleari (Macron si è offeso perché ha perso 50 miliardi, ma è un bene, visto che i sommergibili francesi sono obsoleti).

La strategia Usa è chiara e sarà portata avanti da Kamala Harris: spezzare la colonna economica interna agli Usa (ovvero chi fa affari con i cinesi come le Corporation, Apple su tutti), ricollocando le produzioni in terra americana.

Il boom cinese degli ultimi 35 anni è stato “dopato” da speculazione e overdose di debiti, oltre a un continuo pompaggio di liquidità da parte di Bank of China, che ha virato da un po’ anche sulle monete virtuali, puntando sulla tecnologia blockchain.

Il crac del colosso immobiliare cinese Evergrande ha già contagiato i mercati asiatici (in primis, i paesi Asean, che ormai dipendono da Pechino, l’ennesima occasione mancata per l’Occidente) e rischia di destabilizzare fortemente l’economia mondiale, visto che gli investimenti nella terra del Dragone sono ingenti.

Oltre ai colossi delle multinazionali, risultano investimenti finanziari da parte di fondi europei. La Cina, però, sta reagendo senza lungimiranza, mezza Europa (Balcani in testa) è ormai nell’orbita di Pechino e rischia un rimbalzo di crisi quasi immediato. La penetrazione cinese è profonda e il blocco della liquidità statale potrebbe portare in stallo una miriade di attività cinesi nel Vecchio continente.

Fino a quando l’economia Usa sarà davanti, il “rimbalzo economico” sarà limitato, ma ciò potrebbe non bastare a fermare il cigno nero cinese, che pare aver ormai aperto le ali. Un nuovo 1929 non è da escludere e il tonfo potrebbe essere perfino peggiore, portando appunto il Dragone a far rientrare capitali anche tramite conquiste militari come l’isola di Taiwan.

Non si tratta più, quindi, solo di economia al computer, ma di geopolitica unita ad affari militari, una crisi doppia che vede l’Occidente non reattivo come prima del 2010 e una Nato non all’altezza del compito, soprattutto dopo la rotta afghana.

Kamala Harris, infatti, ha già pronto un piano di riarmo e contenimento, discusso con l’alleato storico: Londra. Intanto con l’Australia, di fatto, si passa a una fase nuova, di assoluto contenimento militare.

Germania e Francia dovranno decidere con chi fare affari, essendo ad oggi ancora molto allineate a Pechino.

L’Italia invece, abbracciando il progetto Tempest (caccia di sesta generazione) con Londra, ha fatto capire di rimanere un perno della Nato, escludendo di fatto qualsiasi ponte con la Via della Seta.

Il cigno nero ha preso il volo.

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