Il riarmo europeo, sia pure in modo non lineare, continua a procedere, tra cornici narrative e impegno diretto dei protagonisti, come Draghi
Mario Draghi ha organizzato un seminario in Portogallo e Sergio Mattarella ha voluto seguirlo appositamente, per sollecitare all’unisono la Ue a “non dormire” di fronte al trumpismo dei dazi (e non solo). Quattro anni fa Mattarella era al termine del suo primo mandato al Quirinale e incaricò Draghi come premier istituzionale. Ma all’inizio del 2022 – sul finire della legislatura – fu lo stesso presidente della Repubblica ad accogliere l’invito del Parlamento per un secondo mandato, con l’effetto (e forse con l’intento) di fermare l’ascesa al Quirinale dell’ex presidente della Bce.
Nella primavera 2025 Mattarella è intanto in carica da oltre 10 anni, avendo largamente battuto nella storia repubblicana anche l’altro rieletto, Giorgio Napolitano. Draghi è invece da tre anni “riserva della Repubblica” – in Italia ed Europa – continuando a vantare solidi rapporti a Wall Street e nel Deep State statunitense.
Sei mesi fa – il giorno in cui Donald Trump fu rieletto presidente Usa – Mattarella era in visita di Stato in Cina. Lo accompagnavano Romano Prodi – vecchio compagno “cattodem” nella Dc e poi nel Pd, ex premier ed ex presidente della Commissione Ue – e John Elkann, presidente di Stellantis. Prodi ha insistito anche negli ultimi giorni nell’indicare nella Cina la sponda geoeconomica cui la Ue dovrebbe appoggiarsi nel contrastare l’America trumpiana.
È tuttavia delle ultime ore la notizia di una tregua raggiunta fra Pechino e Washington sul fronte dei protezionismi lungo la vera faglia geopolitica del pianeta, quella del Pacifico. La de-escalation commerciale (ma non solo) fra Usa e Cina è stata annunciata mentre Trump era in volo per l’Arabia Saudita. Lo hanno accompagnato tycoon e top manager internazionali – anzitutto quelli del Big Tech statunitense – fra cui anche lo stesso Elkann, subito ritratto in una photopportunity con il presidente e il principe della corona Saudita Mohammed bin Salman.
Quattro mesi fa a Riyad era stata ospite ufficiale la premier Giorgia Meloni, cui non vennero risparmiate critiche dai media “democratici” italiani ed europei: gli stessi che nei giorni scorsi hanno rimbrottato la premier italiana per aver disertato la missione a Kiev di Emmanuel Macron, Keir Starmer e Friedrich Merz. Macron e Starmer sono stati i primi “Volenterosi” europei a correre a Washington dopo l’Inauguration Day di Trump (e Londra si è infine “arresa” all’offensiva dei dazi, in totale autonomia brexiter rispetto alla Ue). È però Meloni ad essere costantemente nel mirino per sospetti eccessi di trumpismo.
Una settimana fa, intanto, Leonardo (assieme alla tedesca Rheinmetall) ha presentato un’offerta d’acquisto per Iveco Defence, azienda produttrice di armi controllata da Exor, la holding della famiglia Agnelli. A quest’ultima affluirà – anche da un’azienda italiana a controllo statale – un importo stimato in circa 1,5 miliardi: una cifra confrontabile con i sussidi green ripetutamente chiesti al governo italiano da Stellantis (di cui è azionista diretto lo Stato francese).
L’annuncio su Iveco è stato dato in coincidenza con una convocazione non di prammatica del Consiglio supremo di difesa in cui Mattarella ha voluto essere informato dalla premier e dai suoi ministri del coinvolgimento dell’Italia nella strategia di riarmo Ue. Quest’ultima sta molto a cuore al presidente – per altri versi pacifista, ad esempio riguardo la guerra di Gaza – anche perché andrebbe a realizzare il Rapporto Draghi sul rilancio dell’industria europea attraverso l’indebitamento comunitario.
Eurobond e gestione centralizzata a Bruxelles della politica industriale paiono coerenti – agli osservatori internazionali – con gli sforzi di rianimazione tecnocratica e anti-sovranista della governance Ue, ai minimi termini dopo il ritorno della Nato e le crisi interne a Francia e Germania.
Il Pd continua a essere critico sul neo-bellicismo europeo e sulla riconfigurazione militare del Rapporto Draghi dall’originario sviluppo del “Recovery Plan” orientato alla transizione energetica e digitale.
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