La scena di Donald Trump e di Volodymyr Zelensky che parlano faccia a faccia all’interno della Basilica di San Pietro, uno di fronte all’altro seduti su due sedie, lascia intravedere una serie di ipotesi che parevano compromesse 24 ore prima che cominciasse il funerale di Papa Francesco.
Dunque, Trump aveva detto genericamente che avrebbe scambiato due parole con tutti i leader che sarebbero stati presenti. Nelle stesse ore di quella dichiarazione, non era sicuro che Zelensky potesse partecipare alla cerimonia. Nel frattempo si moltiplicavano dichiarazioni di un po’ tutti i leader dei Paesi del mondo. E anche mentre il Presidente degli USA e il leader ucraino scambiavano le loro idee quasi sottovoce, si poteva notare un interessante sgomitare del premier inglese, il laburista Keir Starmer, e soprattutto, come in una sorta di aggregazione da bar, c’erano i tentativi del presidente francese Emmanuel Macron.
I media hanno battezzato “storica” la scena dei pochi minuti di colloquio in San Pietro. Alcuni hanno pensato al “primo miracolo” di Papa Francesco. Non ci esponiamo a queste ipotesi perché non ne siamo capaci.
Il clima di incertezza resta sempre il punto principale di questa crisi dell’ordine internazionale e della tragica vicenda ucraina, eppure l’impressione è che ci sia una diplomazia al lavoro che sta fissando alcuni obiettivi che potrebbero diventare accettabili.
Sbaglieremo, ma a noi sembra che il primo punto sia un lento ma progressivo cambiamento di posizione di Zelensky. Una pace giusta sarà difficile da raggiungere, una parte dei territori conquistati dai russi sarà al centro di una trattativa di controllo e spartizione, ma la Crimea difficilmente ritornerà ucraina, perché su quello Vladimir Putin gioca una partita fondamentale come ai tempi degli zar.
Zelensky ha certo la solidarietà europea, tranne che di qualche Paese o “brandello” di raggruppamento politico, ma le armi dagli Stati Uniti possono arrivare in minor quantità e anche i “volonterosi” inglesi, se non quelli francesi, sembrano più “freddi” che nelle settimane scorse, forse anche perché storicamente legati agli USA.
Gli altri europei giocano partite singole, con Macron, minoritario in Francia, che è difficile possa dettare una soluzione alla crisi di Kiev. Gli sforzi di Ursula von der Leyen si sono risolti, per ora, in una stretta di mano con Trump e a un “Ci rivedremo”. Infine, non sembra più un mistero, Zelensky comincia ad avere seri problemi interni.
In un simile quadro, quello che si può pensare è che alla fine per l’Ucraina si possa arrivare a una formula “coreana”: un “ceasefire” senza scadenza, un cessare il fuoco dove non si combatte più, si pensa a una ricostruzione delle città distrutte e si ritorna a fare, un po’ tutti, affari con la famosa questione delle “terre rare” e di altro ancora.
Ci sono soluzioni all’orizzonte anche per quanto riguarda la situazione in Medio Oriente. Ci si chiede perché Trump abbia, ad esempio, frenato, o meglio stoppato, Benjamin Netanyahu nel suo proposito di un attacco al nemico storico Iran, con un bombardamento nella zona iraniana dove si lavora sulle centrali atomiche e, dopo tutto quello che è accaduto, perché una parte palestinese promuova addirittura manifestazioni contro Hamas. E in più sia in corso un dialogo-trattativa diretto tra USA e Iran.
Trump può continuare a strologare o a bluffare sulla “riviera” nella tragedia di Gaza, ma è solo puro cinismo su una partita più grande che tenta di giocare guardando soprattutto alla Cina, l’altra grande potenza reale che può giocare un ruolo imperiale anche in una nuova fase della globalizzazione, ora quasi bloccata nei suoi aspetti più appariscenti. Trump può persino scatenare una “guerra dei dazi”, modificandola settimana dopo settimana e seminando ulteriore incertezza nel mondo intero.
A nostro parere tutti questi movimenti, che sono l’essenza della grande incertezza, sono una autentica accelerazione della crisi dell’ordine mondiale, in attesa di una rottura definitiva o di una soluzione concordata accettabile.
Il vero problema è che questa accelerazione può diventare sempre più pericolosa se non si raggiunge un altro ordine internazionale che sappia superare, nei momenti delicati, i problemi che sorgono tra gli Stati.
In realtà, arrivati a questo punto dobbiamo ammettere che siamo tutti “orfani” di Yalta. Quel trattato del febbraio 1945, che di fatto ripeteva il trattato di Teheran del dicembre 1943, era l’accordo su un ordine internazionale, più che imperfetto e più volte violato, ma che ha comunque assicurato tanti anni di pace all’Europa e ha permesso all’allora URSS e agli USA di sedare le situazioni più complicate per circa ottant’anni. Realisticamente, in quel momento, non era il meglio, ma il meno peggio. In questo momento siamo lontani da quel tipo di trattato a due che garantiva una certa sicurezza e siamo pure lontani dal meno peggio.
Quindi il gioco sembra scritto: siamo alla ricerca di una nuova Yalta tra Stati Uniti e Cina. I dialoghi incrociati tra Stati Uniti e Russia, tra Stati Uniti e Iran, sono solo i tentativi di un nuovo ordine a due, con accordi di forze intermedie, che dividerà e unirà il mondo in questo grande momento di trasformazione.
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