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Home » Economia e Finanza » SCENARIO 2026, COME STARÀ L’ITALIA?/ Le nuove carte da giocare per uscire dalla stagnazione

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SCENARIO 2026, COME STARÀ L’ITALIA?/ Le nuove carte da giocare per uscire dalla stagnazione

Stefano Cingolani
Pubblicato 7 Dicembre 2025
(Ansa)

(Ansa)

Occorre spingere l'economia italiana, ma non è semplice farlo senza spazio fiscale. Occorre far leva su politiche dal lato dell'offerta

È ormai chiaro lo stato di salute dell’economia italiana in questo 2025 trascorso sull’orlo di una crisi di nervi, tra le follie tariffarie di Donald Trump, le ansie provocate dalle guerre (in Ucraina e a Gaza), la recessione tedesca e la fiacca reazione dell’Unione europea al rischio di restare schiacciata tra il neo protezionismo americano e la sfida globale cinese, mentre appare illusoria l’idea che Vladimir Putin possa staccarsi dalla “perenne amicizia” proclamata da Xi Jinping o che l’India di Modi possa giocare di sponda con gli Stati Uniti e l’Unione europea.


SPILLO/ E Trump bocciò anche l'Europa "cinese" di Prodi


La National security strategy mette l’Europa intera (Gran Bretagna compresa) con le spalle al muro: tra poco più di un anno gli Usa non saranno più i maggiori fornitori di difesa tradizionale, quella che serve maggiormente nel caso di conflitti come quello ucraino. Ciò significa compiere scelte dolorose e molto costose che ricadranno per lo più sui Governi nazionali. L’atteggiamento della Bce che non vuole farsi garante del prestito di 140 miliardi di euro all’Ucraina rimandando l’onere ai singoli Paesi è un chiaro messaggio anche per la futura difesa europea.


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Il 2026, anno pre-elettorale in Italia, si presenta già carico di insidie. Non sarà facile gestire un bilancio pubblico che nasce ridotto all’osso e dovrà farsi carico dell’aumento delle spese per la difesa, dell’esigenza di compensare con la domanda interna una domanda estera ballerina e far fronte all’impatto di una crisi industriale che con il passare dei mesi si fa sempre più preoccupante. Ebbene, come si presenta l’Italia nell’anno che verrà?

L’Istat ha pubblicato il suo bilancio e le sue prospettive. Il 2025 appare diviso in due: nella prima parte l’economia è cresciuta sia pur lentamente, nella seconda metà si è fermata. Così l’anno chiude con quello 0,5% accumulato fino a giugno (il 2024 si era chiuso con +0,7%). Il 2026 dovrebbe andare un po’ meglio (+0,8%) grazie alla domanda interna, mentre quella estera sarebbe negativa.


Riforma pensioni 2025/ Le rivendicazioni in casa Cgil (ultime notizie 7 dicembre)


Ansa

Il contributo interno verrebbe da un’occupazione che continua crescere più del prodotto lordo, un aumento finalmente dei salari contrattuali e una riduzione dell’inflazione che dovrebbe sostenere il potere d’acquisto e a una crescita degli investimenti determinata soprattutto dal Pnrr. Tuttavia, “complessivamente, le retribuzioni contrattuali in termini reali a settembre 2025 risultano inferiori dell’8,8% rispetto ai livelli registrati a gennaio 2021”. Ciò mette una pietra sopra la querelle sul recupero delle retribuzioni dopo l’ondata inflazionistica del 2022-2023: non c’è stato nessun recupero e questo tira in ballo le responsabilità sia degli imprenditori, sia del Governo.

Dal lato dell’offerta, continuano le difficoltà nell’industria (il valore aggiunto ai prezzi base è diminuito dello 0,3% rispetto al trimestre precedente); sono in leggera flessione sia l’industria senso stretto (-0,3%), sia le costruzioni (-0,2%), mentre tengono i servizi (+0,2%). La manifattura è guidata soprattutto dalle esportazioni e ciò spiega in gran parte perché la produzione continua a scendere, ma la caduta dura ormai da da due anni, quindi non è solo colpa dei dazi. La riduzione del costo del denaro può consentire alle imprese di far fronte alla congiuntura sfavorevole, ma a rischio di indebitarsi.

Il dato sugli investimenti è gonfiato soprattuto dalle costruzioni non residenziali (+15%), quindi dai progetti del Pnrr che ha cominciato a dare i suoi frutti. Resta invece debole l’andamento degli investimenti privati, del tutto insufficienti quelli in nuove tecnologie dove già l’Italia è rimasta indietro.

In sostanza l’economia nazionale si è via via appiattita dalla seconda metà del 2023 ed è vissuta grazie a una sorta di trascinamento del boom post-pandemia che è cominciato nel secondo semestre del 2021 con un Pil balzato del 19,2%. Ancora il primo trimestre 2023 aveva fatto segnare un +2,2%. Grazie a questo l’Italia è andata meglio della media europea, ma se prendiamo il periodo 2018-2025 l’Italia ha segnato un + 7% ,mentre l’Ue è aumentata del 7%.

Far ripartire l’economia dunque è la priorità del prossimo anno, anche per ridurre il debito in rapporto al Pil, mentre si è diffuso un certo senso comune secondo il quale tutto dipende solo dall’estero e in particolare dalla stagnazione in Germania, quindi non si può fare altro che attendere la ripartenza della locomotiva tedesca.

D’accordo, una forte spinta dalla politica fiscale è impensabile, non ci sono margini anche se l’uscita dalla procedura d’infrazione può allentare leggermente i cordoni della borsa. Molto si può fare invece con una politica dell’offerta. Per esempio, sul mercato del lavoro. Gli occupati crescono, soprattutto nella fascia più anziana, allora si può incentivare l’aumento dei giovani e delle donne.

Il tasso di occupazione per quanto migliorato resta il più basso d’Europa, mentre c’è un fabbisogno di manodopera insoddisfatto che blocca le imprese, ci vuole una politica dell’immigrazione che favorisca quella qualificata. E ancora, la politica degli incentivi pubblici può essere collegata alla dinamica salariale.

“La maggior parte delle imprese italiane sono ancora legate a un vecchio modello per cui il Paese poteva essere competitivo grazie al costo del lavoro. Oggi bisogna competere su altro: ricerca, prodotti innovativi a più alto contenuto tecnologico, servizi”. È Enrico Carraro che parla, ex Presidente degli industriali veneti, un imprenditore che non si rassegna alla stagnazione. Val la pena dargli retta.

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Tags: PILDonald TrumpGoverno MeloniDazi

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